Gli arrosti allo spiede, eccezion fatta
degli uccelli e dei piccioni, ne' quali sta bene la salvia intera, non si usa più di
lardellarli né di pillottarli, né di steccarli con aglio, ramerino od altri odori
consimili che facilmente stuccano o tornano a gola. Dove l'olio è buono ungeteli con
questo liquido, altrimenti usate lardo o burro ove, per qualche ragione locale, si suol
dar la preferenza all'uno più che all'altro di questi condimenti.
L'arrosto, in generale, si preferisce
saporito e però largheggiate alquanto col sale per le carni di vitella di latte, agnello,
capretto, pollame e maiale: tenetevi più scarsi colle carni grosse e coll'uccellame
perché queste sono carni per sé stesse assai saporite; ma salate sempre a mezza o anche
a due terzi di cottura. Commettono grave errore coloro che salano un arrosto qualunque
prima di infilarlo nello spiede perché il fuoco allora lo prosciuga, anzi lo risecchisce.
Il maiale e le carni di bestie lattanti,
come vitella di latte, agnello, capretto e simili, debbono esser ben cotte per prosciugare
la soverchia loro umidità. Il manzo e il castrato cuoceteli assai meno perché, essendo
queste carni molto asciutte devono restare sugose. Gli uccelli cuoceteli a fiamma, ma
badate di non arrivarli troppo, ché quelle carni perderebbero allora gran parte del loro
aroma; però avvertite che non sanguinino il che potrete conoscere pungendoli sotto l'ala.
Anche dei polli si può conoscere la giusta cottura quando, pungendoli nella stessa
maniera, non esce più sugo.
Le carni di pollo risulteranno più
tenere e di miglior colore se le arrostirete involtate dentro ad un foglio la cui parte
aderente alla carne sia prima stata unta di burro; per evitare che la carta bruci,
ungetela spesso all'esterno. A mezza cottura levate il foglio e terminate di cuocere il
pollo, il tacchino o altro che sia, salandoli ed ungendoli.
In questo caso sarà bene di mettere un
po' di sale nel loro interno prima d'infilarli allo spiede e di steccar con lardone il
petto de' tacchini e delle galline di Faraone. Qui è bene avvertire che il piccione
giovane e il cappone ingrassato, sia arrosto che lesso, sono migliori diacci che caldi e
stuccano meno.
Le carni arrostite conservano meglio, che
preparate in qualunque altra maniera, le loro proprietà alimentari e si digeriscono più
facilmente.
521.
ROAST-BEEF I
Questa voce inglese è penetrata in
Italia col nome volgare di rosbiffe, che vuoi dire bue arrosto. Un buon rosbíffe è un
piatto di gran compenso in un pranzo ove predomini il genere maschile, il quale non si
appaga di bricciche come le donne, ma vuoi ficcare il dente in qualche cosa di sodo e di
sostanzioso.
Il pezzo che meglio si presta è la
lombata indicata per la bistecca alla fiorentina n. 556. Onde riesca tenero, deve essere
di bestia giovane e deve superare il peso di un chilogrammo, perché il fuoco non lo
prosciughi, derivando la bellezza e bontà sua dal punto giusto della cottura indicato dal
color roseo all'interno e dalla quantità del sugo che emette affettandolo. Per ottenerlo
in codesto modo cuocetelo a fuoco ardente e bene acceso fin da principio onde sia preso
subito alla superficie; ungetelo con l'olio, che poi scolerete dalla leccarda, e per
ultimo passategli sopra un ramaiuolo di brodo, il quale, unito all'unto caduto dal
rosbiffe, servirà di sugo al pezzo quando lo mandate in tavola. Salatelo a mezza cottura
tenendovi un po' scarsi perché questa qualità di carne, come già dissi, è per sé
saporita, e abbiate sempre presente che il benefico sale è il più fiero nemico di una
buona cucina.
Mettetelo al fuoco mezz'ora prima di
mandare la minestra in tavola, il che è sufficiente se il pezzo non è molto grosso, e
per conoscerne la cottura pungetelo nella patte più grossa con un sottile lardatoio, ma
non bucatelo spesso perché non dissughi. Il sugo che n'esce non dev'essere né di color
del sangue, né cupo. Le patate per contorno rosolatele a parte nell'olio da crude e
sbucciate, intere se sono piccole, e a quarti se sono grosse.
Il rosbiffe si può anche mandare al
forno, ma non viene buono come allo spiede. In questo caso conditelo con sale, olio e un
pezzo di burro, contornatelo di patate crude sbucciate, e versate nel tegame un bicchiere
d'acqua.
Se il rosbiffe avanzato non vi piace
freddo, tagliatelo a fette, rifatelo con burro e sugo di carne o di pomodoro.
522.
ROAST-BEEF II
Questa seconda maniera di cuocere il
rosbiffe mi sembra che sia da preferirsi alla prima, perché rimane più sugoso e più
profumato. Dopo averlo infilato nello spiede, involtatelo in un foglio bianco non troppo
sottile e bene imburrato con burro diaccío: legatelo alle due estremità onde resti ben
chiuso e mettetelo al fuoco di carbone molto acceso. Giratelo e quando sarà quasi cotto
strappate via la carta, salatelo e fategli prendere il colore. Tolto dal fuoco, chiudetelo
tra due piatti e dopo dieci minuti servitelo.
523. SFILETTATO TARTUFATO
I macellari di Firenze chiamano
sfilettato la lombata di manzo o di vitella a cui sia stato levato il filetto.
Prendete dunque un pezzo grosso di
sfilettato e steccatelo tutto con pezzetti di tartufi, meglio bianchi che neri, tagliati a
punta e lunghi tre centimetri circa, unendo ad ognuno di questi un pezzetto di burro per
riempire il buco che avrete aperto con la punta del coltello per inserirli. Fate delle
incisioni a traverso la cotenna onde non si ritiri, legatelo ed infilatelo nello spiede
per cuocerlo. A due terzi di cottura dategli un'untatina con olio e salatelo scarsamente,
perché queste carni di bestie grosse sono assai saporite e non hanno bisogno di molto
condimento.
524. ARROSTO DI VITELLA DI LATTE
La vitella di latte si macella in tutti i
mesi dell'anno; ma nella primavera e nell'estate la troverete più grassa, più nutrita e
di miglior sapore. I pezzi che più si prestano per l'arrosto allo spiede sono la lombata
e il culaccio, e non hanno bisogno che d'olio e sale per condimento.
Gli stessi pezzi si possono cuocere in
tegame, leggermente steccati d'aglio e ramerino, con olio, burro e un battutino di
carnesecca, sale, pepe e sugo di pomodoro per cuocere nell'intinto piselli freschi. E
questo un piatto che piace a molti.
525. PETTO DI VITELLA DI LATTE IN FORNO
Se io sapessi chi inventò il forno
vorrei erigergli un monumento a mie spese; in questo secolo di monumentomania credo che ei
lo meriterebbe più di qualcun altro.
Trattandosi di un piatto di famiglia
lasciate il pezzo come sta, con tutte le sue ossa, e se non eccedesse il peso di 600 a 700
grammi potete cuocerlo al forno da campagna. In questo caso steccatelo con grammi 50 o 60
di prosciutto più magro che grasso tagliato fine, legatelo onde stia raccolto, spalmatelo
tutto copiosamente di lardo (strutto) e salatelo. Collocatelo in una teglia e una diecina
di minuti prima di levarlo dal fuoco uniteci delle patate che, in quell'unto, vengono
molto buone.
Invece dello strutto potete servirvi di
burro e olio e invece del prosciutto salarlo generosamente.
526.
ARROSTO MORTO
Potete fare nella maniera che sto per
dire ogni sorta di carne; ma quella che più si presta, a parer mio, è la vitella di
latte. Prendetene un bel pezzo nella lombata che abbia unita anche la pietra.
Arrocchiatelo e legatelo con uno spago perché stia più raccolto e mettetelo al fuoco in
una cazzaruola con olio fine e burro, ambedue in poca quantità. Rosolatelo da tutte le
parti, salatelo a mezza cottura e finite di cuocerlo col brodo in guisa che vi resti poco
o punto sugo.
Sentirete un arrosto che se non ha il
profumo e il sapore di quello fatto allo spiede avrà in compenso il tenero e la
delicatezza. Se non avete il brodo servitevi del sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua. Se vi piace più saporito aggiungete carnesecca tritata fine.
527. ARROSTO MORTO COLL'ODORE DELL'AGLIO E DEL RAMERINO
Se, piacendovi questi odori, non amate
che tornino a gola, non fate come coloro che steccano un pollo, un pezzo di filetto o
altra carne qualunque con pezzi d'aglio e ramerino; ma regolandovi, quanto alla
cucinatura, come nel caso precedente, gettate nella cazzaruola uno spicchio di aglio
intero e due ciocche di ramerino. Quando mandate l'arrosto in tavola passate il suo sugo
ristretto senza spremerlo e contornate, se credete, il pezzo della carne con patate, od
erbaggi rifatti a parte. In questo caso, piacendovi, potete anche aggraziare la carne con
pochissimo sugo di pomodoro o conserva.
Il cosciotto d'agnello viene assai bene
in questa maniera, cotto tra due fuochi.
528.
UCCELLI ARROSTO
Gli uccelli devono essere freschi e
grassi; ma soprattutto freschi. In que' paesi dove si vendono già pelati bisogna essere
tondi bene per farsi mettere in mezzo. Se li vedete verdi o col brachiere, cioè col buzzo
nero, girate largo; ma se qualche volta rimaneste ingannati, cucinateli come il piccione
in umido n. 276, perché se li mettete allo spiede, oltreché aprirsi tutti durante la
cottura, tramandano, molto più che fatti in umido, quel fetore della putrefazione, ossia
della carne faisandée come la chiamano i Francesi: puzzo intollerabile alle persone di
buon gusto, ma che purtroppo non dispiace in qualche provincia d'Italia ove il gusto, per
lunga consuetudine, si è depravato fors'anche a scapito della salute.
Un'eccezione potrebbe farsi per le carni
del fagiano e della beccaccia, le quali, quando sono frolle, pare acquistino, oltre alla
tenerezza, un profumo particolare, specialmente poi se il fagiano lasciasi frollare senza
pelarlo. Ma badiamo di non far loro oltrepassare il primo indizio della putrefazione
perché altrimenti potrebbe accadervi come accadde a me quando avendomi un signore
invitato a pranzo in una trattoria molto rinomata, ordinò, fra le altre cose per farmi
onore, una beccaccia coi crostini; ebbene questa tramandava dal bel mezzo della tavola un
tale fetore che, sentendomi rivoltar lo stomaco, non fui capace neppure di appressarmela
alla bocca, lasciando lui mortificato ed io col dolore di non aver potuto aggradire la
cortesia dell'amico.
Gli uccelli dunque, siano tordi, allodole
o altri più minuti, non vuotateli mai e prima d'infilarli acconciateli in questa guisa:
rovesciate loro le ali sul dorso onde ognuna di esse tenga ferme una o due foglie di
salvia; le zampe tagliatele all'estremità ed incrociatele facendone passare una sopra il
ginocchio dell'altra, forando il tendine, e in questa incrociatura ponete una ciocchettina
di salvia. Poi infilateli collocando i più grossi nel mezzo tramezzandoli con un
crostino, ossia una fettina di pane di un giorno grossa un centimetro e mezzo, oppure, se
trovasi, un bastoncino tagliato a sbieco.
Con fettine di lardone, salate avanti e
sottili quanto la carta, fasciate il petto dell'uccello in modo che si possa infilare
nello spiede insieme col pane.
Cuoceteli a fiamma e se il loro becco non
l'avete confitto nello sterno, teneteli prima fermi alquanto col capo penzoloni onde
facciano, come suol dirsi, il collo; ungeteli una volta sola coll'olio quando cominciano a
rosolare servendovi di un pennello o di una penna per non toccare i crostini, i quali sono
già a sufficienza conditi dai due lardelli e salateli una volta sola. Metteteli al fuoco
ben tardi perché dovendo cuocere alla svelta c'è il caso che arrivino presto e
risecchiscano. Quando li mandate in tavola sfilateli pari pari, onde restino uniti sul
vassoio e composti in fila, che così faranno più bella mostra.
Quanto all'arrosto d'anatra o di germano,
che sa di selvatico, alcuni gli spremono sopra un limone quando comincia a colorire e
l'ungono con quell'agro e coll'olio insieme raccolto nella ghiotta.
529. ARROSTO D'AGNELLO ALL'ARETINA
L'agnello comincia ad esser buono in
dicembre, e per Pasqua o è cominciata o sta per cominciare la sua decadenza.
Prendete un cosciotto o un quarto
d'agnello, conditelo con sale, pepe, olio e un gocciolo d'aceto. Bucatelo qua e là colla
punta di un coltello e lasciatelo in questo guazzo per diverse ore. Infilatelo nello
spiede e con un ramoscello di ramerino ungetelo spesso fino a cottura con questo liquido,
il quale serve a levare all'agnello il sito di stalla, se temete che l'abbia, e a dargli
un gusto non disgradevole.
Piacendovi più pronunziato l'odore del
ramerino potete steccare il pezzo con alcune ciocche del medesimo, levandole prima di
mandarlo in tavola.
530. COSCIOTTO DI CASTRATO ARROSTO
La stagione del castrato è dall'ottobre
al maggio. Dicesi che si deve preferire quello di gamba corta e di carne color rosso
bruno. Il cosciotto arrostito offre un nutrimento sano e nutriente, opportuno specialmente
a chi ha tendenza alla pinguedine.
Prima di cuocerlo lasciatelo frollare
diversi giorni, più o meno a seconda della temperatura. Prima d'infilarlo allo spiede
battetelo ben bene con un mazzuolo di legno, poi spellatelo e levategli, senza troppo
straziarlo, l'osso di mezzo. Dopo, perché resti tutto raccolto, legatelo e dategli fuoco
ardente da principio, e a mezza cottura diminuite il calore. Quando comincia a gettare il
sugo, che raccoglierete nella leccarda, bagnatelo col medesimo e con brodo digrassato,
nient'altro. Salatelo a cottura quasi completa; ma badate che non riesca troppo cotto né
che sanguini e servitelo in tavola col suo sugo in una salsiera e perché faccia miglior
figura involgete l'estremità dell'osso della gamba in carta bianca frastagliata.
531.
ARROSTO DI LEPRE I
Le parti della lepre (Lepus timidus)
adatte per fare allo spiede sono i quarti di dietro; ma le membra di questa selvaggina
sono coperte di pellicole che bisogna accuratamente levare, prima di cucinarle, senza
troppo intaccare i muscoli.
Avanti di arrostirla tenetela in
infusione per dodici o quattordici ore in un liquido così preparato: mettete al fuoco in
una cazzaruola tre bicchieri d'acqua con mezzo bicchier d'aceto o anche meno in
proporzione del pezzo, tre o quattro scalogni troncati, una o due foglie d'alloro, un
mazzettino di prezzemolo, un pochino di sale e una presa di pepe; fatelo bollire per
cinque o sei minuti e versatelo diaccio sulla lepre. Tolta dall'infusione asciugatela e
steccatela tutta col lardatoio con fettine di lardone di qualità fine. Cuocetela a fuoco
lento, salatela a sufficienza ed ungetela con panna di latte e nient'altro.
Dicono che il fegato della lepre non si
deve mangiare perché nocivo alla salute.
532. ARROSTO DI LEPRE II
Se la lepre sarà ben frolla potete
arrostire i quarti di dietro senza farli precedere dall'infusione nella seguente maniera.
Levate le pellicole più grosse dai muscoli esterni e steccate tutto il pezzo di lardelli
di lardone che avrete salati avanti. Infilato allo spiede, avvolgetelo in una carta
imburrata e cosparsa di sale. Quando sarà cotto togliete la carta e con un ramoscello di
ramerino intinto nel burro, ungetelo e fatelo colorire, salandolo ancora un poco.
533.
CONIGLIO ARROSTO
Anche per un arrosto di coniglio allo
spiede non si prestano che i quarti di dietro. Steccatelo di lardone, ungetelo con olio o,
meglio, col burro e salatelo a cottura quasi completa.
534. ARROSTO MORTO LARDELLATO
Prendete, mettiamo, un pezzo corto e
grosso di magro, di vitella o di manzo, nella coscia o nel culaccio, ben frollo e del peso
di un chilogrammo all'incirca; steccatelo con grammi 30 di prosciutto grasso e magro
tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in una
cazzaruola con grammi 30 di burro, un quarto di una cipolla diviso in due pezzi, tre o
quattro costole di sedano lunghe meno di un dito ed altrettante strisce di carota. Condite
con sale e pepe e quando la carne avrà preso colore, voltandola spesso, annaffiatela con
due piccoli ramaiuoli d'acqua e tiratela a cottura con fuoco lento, lasciandole
prosciugare molta parte dell'umido, ma badate non vi si risecchi e diventi nera. Quando la
mandate in tavola passate il poco succo rimasto e versatelo sulla carne che potrete
contornar di patate a spicchi, rosolati nel burro o nell'olio.
Potete anche metter l'arrosto morto al
fuoco col solo burro e tirarlo a cottura con la cazzaruola coperta da una scodella piena
d'acqua.
535. PICCIONE A SORPRESA
È una sorpresa de' miei stivali; ma
comunque sia è bene conoscerla perché non è cosa da disprezzarsi.
Se avete un piccione da mettere allo
spiede e volete farlo bastare a più di una persona, riempitelo con una braciuola di
vitella o di vitella di latte. S'intende che questa braciuola dev'essere di grandezza
proporzionata.
Battetela bene per renderla più sottile
e più morbida, conditela con sale, pepe, una presina di spezie e qualche pezzetto di
burro, arrocchiatela e mettetela dentro al piccione cucendone l'apertura. Se al condimento
suddetto aggiungerete delle fettine di tartufi sarà meglio che mai. Potete anche cuocere
a parte la cipollina e il fegatino del piccione nel sugo o nel burro, pestarli e con essi
spalmare la braciuola; così l'aroma differente delle due qualità di carne si amalgama e
si forma un gusto migliore.
Ciò che si è detto pel piccione valga
per un pollastro.
536.
QUAGLIETTE
Servitevi delle bracioline ripiene del n.
307, oppure fate l'involucro con vitella di latte e quando saranno ripiene, fasciatele con
una fettina sottilissima di lardone e legatele in croce col refe. Infilatele nello spiede
per cuocerle arrosto, ognuna fra due crostini e con qualche foglia di salvia, ungetele
coll'olio, salatele, bagnatele con qualche cucchiaiata di brodo e scioglietele quando le
mandate in tavola.
Anche col filetto di manzo a pezzetti,
fasciato di lardone, coll'odore della salvia e fra due crostini, si ottiene un buonissimo
arrosto.
537. BRACIUOLA DI MANZO RIPIENA ARROSTO
Una braciuola di manzo grossa un dito del
peso di grammi 500.
Magro di vitella di latte, grammi 200.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Lingua salata, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Fegatini di pollo, n. 2.
Uova, n. l.
Una midolla di pane fresco grossa un pugno
Fate un battutino con cipolla quanto una
noce, un poco di sedano, carota e prezzemolo; mettetelo al fuoco col detto burro e,
rosolato che sia, gettateci la vitella di latte a pezzetti e i fegatini, poco sale e pepe
per condimento, tirando la carne a cottura con un po' di brodo. Levatela asciutta per
tritarla fine colla lunetta e nell'intinto che resta fate una pappa soda con la midolla
del pane, bagnandola con brodo se occorre. Ora, fate tutto un impasto, con la carne
tritata, la pappa, l'uovo, il parmigiano, il prosciutto e la lingua tagliata a dadini.
Composto così il ripieno, tuffate appena la braciuola di manzo nell'acqua, per poterla
distender meglio, battetela con la costola del coltello e spianatela con la lama.
Collocateci il ripieno in mezzo e formatene un rotolo che legherete stretto a guisa di
salame prima dalla parte lunga e poi per traverso. Infilatela nello spiede per la sua
lunghezza e arrostitela con olio e sale. Sentirete un arrosto delicato, il quale potrà
bastare per sei o sette persone.
538. COSTOLETTE DI VITELLA DI LATTE ALLA MILANESE
Tutti conoscete le costolette semplici
alla milanese, ma se le aggradite più saporite trattatele in questa guisa.
Dopo aver denudato l'osso della costola e
scartatine i ritagli, spianatele con la lama di un grosso coltello per allargarle e
ridurle sottili. Poi fate un battuto con prosciutto più grasso che magro, un poco di
prezzemolo, parmigiano grattato, l'odor dei tartufi, se li avete, e poco sale e pepe. Con
questo composto spalmate le costolette da una sola parte, mettetele in infusione
nell'uovo, poi panatele e cuocetele alla sauté col burro, servendole con spicchi di
limone. Per cinque costolette, se non sono molto grosse, basteranno grammi 50 di
prosciutto e due cucchiaiate colme di parmigiano.
539. POLLO RIPIENO ARROSTO
Non è un ripieno da cucina fine, ma da
famiglia. Per un pollo di mediocre grandezza eccovi all'incirca la dose
degli ingredienti:
Due salsicce.
Il fegatino, la cresta e i bargigli del pollo medesimo.
Otto o dieci marroni bene arrostiti.
Una pallina di tartufi o, in mancanza di questi, alcuni pezzetti di funghi secchi.
L'odore di noce moscata.
Un uovo.
Se invece di un pollo fosse un tacchino,
duplicate la dose.
Cominciate col dare alle salsicce e alle
rigaglie mezza cottura nel burro, bagnandole con un po' di brodo se occorre; conditele con
poco sale e poco pepe a motivo delle salsicce. Levatele asciutte e nell'umido che resta
gettate una midolla di pane, per ottenere con un po' di brodo due cucchiaiate di pappa
soda. Spellate le salsicce, tritate con la lunetta le rigaglie e i funghi rammolliti, e
insieme colle bruciate, coll'uovo e la pappa pestate ogni cosa ben fine in un mortaio,
meno i tartufi che vanno tagliati a fettine e lasciati crudi. Questo è il composto col
quale riempirete il pollo, il cui ripieno si lascierà tagliar meglio diaccio che caldo e
sarà anche più grato al gusto.
540. CAPPONE ARROSTO TARTUFATO
La cucina è estrosa, dicono i
fiorentini, e sta bene perché tutte le pietanze si possono condizionare in vari modi
secondo l'estro di chi le manipola; ma modificandole a piacere non si deve però mai
perder di vista il semplice, il delicato e il sapore gradevole, quindi tutta la questione
sta nel buon gusto di chi le prepara. Io nell'eseguire questo piatto costoso ho cercato di
attenermi ai precetti suddetti, lasciando la cura ad altri d'indicare un modo migliore.
Ammesso che un cappone col solo busto, cioè vuoto, senza il collo e le zampe, ucciso il
giorno innanzi, sia del peso di grammi 800 circa, lo riempirei nella maniera seguente:
Tartufi, neri o bianchi che siano poco
importa, purché odorosi, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Marsala, cucchiaiate n. 5.
I tartufi, che terrete grossi come le
noci, sbucciateli leggermente e la buccia gettatela così cruda dentro al cappone; anche
qualche fettina di tartufo crudo si può inserire sotto la pelle. Mettete il burro al
fuoco e quando è sciolto buttateci i tartufi con la marsala, sale e pepe per condimento
e, a fuoco ardente, fateli bollire per due soli minuti rimuovendoli sempre. Levati dalla
cazzaruola, lasciateli diacciare finché l'unto sia rappreso e poi versate il tutto nel
cappone, per cucirlo tanto nella parte inferiore che nell'anteriore dove è stato levato
il collo.
Serbatelo in luogo fresco per cuocerlo
dopo 24 ore dandogli così tre giorni di frollatura.
Se si trattasse di un fagiano o di un
tacchino regolatevi in proporzione. Questi, d'inverno, è bene conservarli ripieni tre o
quattro giorni prima di cuocerli, anzi pel fagiano bisogna aspettare i primi accenni della
putrefazione, ché allora la carne acquista quel profumo speciale che la distingue. Per la
cottura avvolgeteli in un foglio e trattateli come la gallina di Faraone n. 546.
541.
POLLO AL DIAVOLO
Si chiama così perché si dovrebbe
condire con pepe forte di Caienna e servire con una salsa molto piccante, cosicché, a chi
lo mangia, nel sentirsi accendere la bocca, verrebbe la tentazione di mandare al diavolo
il pollo e chi l'ha cucinato. Io indicherò il modo seguente che è più semplice e più
da cristiano.
Prendete un galletto o un pollastro
giovane, levategli il collo e le zampe e, apertolo tutto sul davanti, schiacciatelo più
che potete. Lavatelo ed asciugatelo bene con un canovaccio, poi mettetelo in gratella e
quando comincia a rosolare, voltatelo, ungetelo col burro sciolto oppure con olio mediante
un pennello e conditelo con sale e pepe. Quando avrà cominciato a prender colore la parte
opposta, voltatelo e trattatelo nella stessa maniera; e continuando ad ungerlo e condirlo
a sufficienza, tenetelo sul fuoco finché sia cotto.
Il pepe di Caienna si vende sotto forma
di una polvere rossa, che viene dall'Inghilterra in boccette di vetro.
542.
POLLO IN PORCHETTA
Non è piatto signorile, ma da famiglia.
Riempite un pollo qualunque con fettine di prosciutto grasso e magro, larghe poco più di
un dito, aggiungete tre spicchi d'aglio interi, due ciocchettine di finocchio e qualche
chicco di pepe. Conditelo all'esterno con sale e pepe e cuocetelo in cazzaruola con solo
burro e fra due fuochi. Al tempo delle salsicce potete sostituire queste al prosciutto
introducendole spaccate per il lungo.
543. ARROSTO MORTO DI POLLO ALLA BOLOGNESE
Mettetelo al fuoco con olio, burro, una
fetta di prosciutto grasso e magro tritato fine, qualche pezzetto d'aglio e una
ciocchettina di ramerino. Quando sarà rosolato, aggiungete pomodori a pezzi netti dai
semi, oppure conserva sciolta nell'acqua. Cotto che sia levatelo e in quell'intinto
cuocete patate a tocchetti, indi rimettetelo al fuoco per riscaldarlo.
544.
POLLO ALLA RUDINÌ
Questo pollo, battezzato non si sa
perché con tal nome, riesce un piatto semplice, sano e di sapore delicato, perciò lo
descrivo. Prendete un pollastro giovane, levategli il collo, le punte delle ali, e le
zampe tagliatele a due dita dal ginocchio; poi fatene sei pezzi: due colle ali a ciascuna
delle quali lascerete unita la metà del petto, due colle coscie compresavi l'anca e due
col groppone toltane la parte anteriore. Levate le ossa delle anche e la forcella del
petto; i due pezzi del groppone schiacciateli. Frullate un uovo con acqua quanta ne stia
in un mezzo guscio d'uovo, metteteci in infusione il pollo dopo averlo infarinato e
conditelo col pepe e col sale a buona misura lasciandovelo fino al momento di cuocerlo.
Allora prendete i pezzi a uno per uno, panateli e, messa la sauté o una teglia di rame al
fuoco con gr. 100 di burro, cuoceteli in questa maniera. Quando comincia a soffriggere il
burro collocateci per un momento i pezzi del pollo dalla parte della pelle, poi
rivoltateli, coprite la sauté con un coperchio e con molto fuoco sopra e poco sotto,
lasciateli per circa dieci minuti. Servitelo con spicchi di limone e sentirete che sarà
buono tanto caldo che freddo.
Per parlare un linguaggio da tutti
compreso, la Sacra Scrittura dice che Giosuè fermò il sole e non la terra e noi si fa lo
stesso quando si parla di polli, perché l'anca dovrebbesi chiamar coscia, la coscia gamba
e la gamba tarso: infatti l'anca ha un osso solo che corrisponde al femore degli uomini,
la coscia ne ha due che corrispondono alla tibia e alla fibula e la zampa rappresenta il
primo osso dei piede, cioè il tarso. Così le ali, per la conformità delle ossa,
corrispondono alle braccia che, dalla spalla al gomito sono di un sol pezzo (omero) e di
due pezzi (radio e ulna) nell'avambraccio; le punte delle ali poi sono i primi accenni di
una mano in via di formazione.
Pare, e se è vero potete accertarvene
alla prova, che il pollo cotto appena ucciso sia più tenero che quando è sopraggiunta la
rigidità cadaverica.
545.
POLLO VESTITO
Non è piatto da farne gran caso, ma può
recare sorpresa in un pranzo famigliare.
Prendete il busto di un pollastro
giovane, cioè privo delle zampe, del collo e delle interiora; ungetelo tutto con burro
diaccio, spolverizzatelo di sale, e un pizzico di questo versatelo nell'interno. Poi,
colle ali piegate, lasciatelo con due larghe e sottili fette di prosciutto più magro che
grasso e copritelo con la pasta descritta nella ricetta n. 277, tirata col matterello alla
grossezza di uno scudo all'incirca. Doratela col rosso d'uovo e cuocete il pollo così
vestito a moderato calore nel forno o nel forno da campagna. Servitelo come sta per essere
aperto e trinciato sulla tavola.
A me sembra migliore diaccio che caldo.
546.
GALLINA DI FARAONE
Questo gallinaceo originario della
Numidia, quindi erroneamente chiamato gallina d'India, era presso gli antichi il simbolo
dell'amor fraterno. Meleagro, re di Calidone, essendo venuto a morte, le sorelle lo
piansero tanto che furono da Diana trasformate in galline di Faraone. La Numida meleagris,
che è la specie domestica, mezza selvatica ancora, forastica ed irrequieta, partecipa
della pernice sia nei costumi che nel gusto della carne saporita e delicata. Povere
bestie, tanto belline! Si usa farle morire scannate, o, come alcuni vogliono, annegate
nell'acqua tenendovele sommerse a forza; crudeltà questa, come tante altre inventate
dalla ghiottoneria dell'uomo. La carne di questo volatile ha bisogno di molta frollatura
e, nell'inverno, può conservarsi pieno per cinque o sei giorni almeno.
Il modo migliore di cucinare le galline
di Faraone è arrosto allo spiede. Ponete loro nell'interno una pallottola di burro
impastata nel sale, steccate il petto con lardone ed involtatele in un foglio spalmato di
burro diaccio spolverizzato di sale, che poi leverete a due terzi di cottura per finire di
cuocerle e di colorirle al fuoco, ungendole coll'olio e salandole ancora.
Al modo istesso può cucinarsi un
tacchinotto.
547. ANATRA DOMESTICA ARROSTO
Salatela nell'interno e fasciatele tutto
il petto con larghe e sottili fette di lardone tenute aderenti con lo spago.
Ungetela coll'olio e salatela a cottura quasi completa. Il germano, ossia l'anatra
selvatica, essendo naturalmente magra, getta poco sugo e quindi meglio sarà di ungerla
col burro.
548.
OCA DOMESTICA
L'oca era già domestica ai tempi di
Omero e i Romani (388 anni av. C.) la tenevano in Campidoglio come animale sacro a
Giunone.
L'oca domestica, in confronto delle
specie selvatiche, è cresciuta in volume, si è resa più feconda e pingue in modo da
sostituire il maiale presso gl'Israeliti. Come cibo io non l'ho molto in pratica, perché
sul mercato di Firenze non è in vendita e in Toscana poco o punto si usa la sua carne; ma
l'ho mangiata a lesso e mi piacque. Da essa sola si otterrebbe un brodo troppo dolce; ma
mista al manzo contribuisce a renderlo migliore se ben digrassato.
Mi dicono che in umido e arrosto si può trattare come l'anatra domestica e che il petto
in gratella si usa steccarlo col prosciutto o con le acciughe salate, per chi si fa un
divieto di quello, e condito con olio, pepe e sale.
In Germania si cuoce arrosto ripiena di mele, vivanda codesta non confacente per noi
Italiani, che non possiamo troppo scherzare coi cibi grassi e pesanti allo stomaco, come
rileverete dal seguente aneddoto.
Un mio contadino, uso a solennizzare la festa di Sant'Antonio abate, volle un anno, meglio
del consueto, riconoscerla coll'imbandire un buon desinare a' suoi amici, non escludendo
il fattore.
Tutto andò bene perché le cose furono fatte a dovere; ma un contadino benestante, che
era degli invitati, sentendosi il cuore allargato, perché al bere e al mangiare aveva
fatto del meglio suo, disse ai commensali:
- Per San Giuseppe, che è il titolare
della mia parrocchia, vi voglio tutti a casa mia e in quel giorno s'ha da stare allegri. -
Fu accettato volentieri l'invito e nessuno mancò al convegno.
Giunta l'ora più desiderata per tali feste, che è quella di sedersi a tavola, cominciò
il bello, perocché si diede principio col brodo che era d'oca; il fritto era d'oca, il
lesso era d'oca, l'umido era d'oca, e l'arrosto di che credete che fosse? era d'oca!! Non
so quel che avvenisse degli altri, ma il fattore verso sera cominciò a sentirsi qualche
cosa in corpo che non gli permetteva di cenare e la notte gli scoppiò dentro un uragano
tale di tuoni, vento, acqua e gragnuola che ad averlo visto il giorno appresso, così
sconfitto e abbattuto di spirito, faceva dubitare non fosse divenuto anch'esso un'oca.
Sono rinomati i pasticci di Strasburgo di fegato d'oca reso voluminoso mediante un
trattamento speciale lungo e crudele, inflitto a queste povere bestie.
A proposito di fegato d'oca me ne fu regalato uno, proveniente dal veneto, che col suo
abbondante grasso attaccato pesava grammi 600, il cuore compreso, e seguendo l'istruzione
ricevuta, lo cucinai semplicemente in questa maniera. Prima misi al fuoco il grasso,
tagliato all'ingrosso, poi il cuore a spicchi e per ultimo il fegato a grosse fette.
Condimento, sale e pepe soltanto; servito in tavola, scolato dal soverchio unto, con
spicchi di limone. Bisogna convenire che è un boccone molto delicato.
Vedi fegato d'oca n. 274.
549.
TACCHINO
Il tacchino appartiene all'ordine dei
Rasores, ossia gallinacci, alla famiglia della Phasanidae e al genere Meleagris. È
originario dell'America settentrionale, estendendosi la sua dimora dal nord ovest degli
Stati Uniti allo stretto di Panama, ed ha il nome di pollo d'India perché Colombo
credendo di potersi aprire una via per le Indie orientali, navigando a ponente, quelle
terre da lui scoperte furono poi denominate Indie occidentali. Pare accertato che gli
Spagnuoli portassero quell'uccello in Europa al principio nel 1500 e dicesi che i primi
tacchini introdotti in Francia furono pagati un luigi d'oro.
Siccome quest'animale si ciba di ogni
sudiceria in cui si abbatte, la sua carne, se è mal nutrito, acquista talvolta un gusto
nauseante, ma diviene ottima e saporosa se alimentato di granturco e di pastoni caldi di
crusca. Si può cucinare in tutti i modi: a lesso, in umido, in gratella e arrosto; la
carne della femmina è più gentile di quella del maschio. Dicono che il brodo di questo
volatile sia caloroso, il che può essere, ma è molto saporito e si presta bene per le
minestre di malfattini, riso con cavolo o rapa, gran farro e farinata di granturco
aggraziate e rese più gustose e saporite con due salsicce sminuzzate dentro. La parte da
preferirsi per lesso è l'anteriore compresa l'ala, che è il pezzo più delicato. Per
l'arrosto morto e per l'arrosto allo spiede si prestano meglio i quarti di dietro.
Trattandosi del primo è bene steccarlo leggermente di aglio e ramerino e condirlo con un
battuto di carnesecca o lardone, un poco di burro, sale e pepe, sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua, onde poter rosolare nel suo intinto delle patate per
contorno. Arrosto allo spiede si unge coll'olio e, piacendo, si serve con un contorno di
polenta fritta. Il petto poi, spianato alla grossezza di un dito e condito qualche ora
avanti a buona misura, con olio, sale e pepe, è ottimo anche in gratella, anzi è un
piatto gradito ai bevitori, i quali vi aggiungono, conciati nella stessa maniera, il
fegatino e il ventriglio tagliuzzato perché prenda meglio il condimento.
Vi dirò per ultimo che un tacchinotto
giovane del peso di due chilogrammi all'incirca, cotto intero, allo spiede come la gallina
di Faraone, può fare eccellente figura in qualsiasi pranzo, specialmente se è
primiticcio.
550. PAVONE
Ora che nella serie degli arrosti vi ho
nominati alcuni volatili di origine esotica, mi accorgo di non avervi parlato del pavone,
Pavo cristatus, che mi lasciò ricordo di carne eccellente per individui di giovane età.
Il più splendido, per lo sfarzo dei
colori, fra gli uccelli dell'ordine dei gallinacei, il pavone abita le foreste delle Indie
orientali e trovasi in stato selvatico a Guzerate nell'Indostan, a Cambogia sulle coste
del Malabar, nel regno di Siam e nell'isola di Giava. Quando Alessandro il Macedone,
invasa l'Asia minore, vide questi uccelli la prima volta dicesi rimanesse così colpito
dalla loro bellezza da interdire con severe pene di ucciderli. Fu quel monarca che li
introdusse in Grecia ove furono oggetto di tale curiosità che tutti correvano a vederli;
ma poscia, trasportati a Roma sulla decadenza della repubblica, il primo a cibarsene fu
Quinto Ortensio l'oratore, emulo di Cicerone e, piaciuti assai, montarono in grande stima
dopo che Aufidio Lurcone insegnò la maniera d'ingrassarli, tenendone un pollaio dal quale
traeva una rendita di millecinquecento scudi la qual cosa non è lontana dal vero se si
vendevano a ragguaglio di cinque scudi l'uno.
551. MAIALE ARROSTITO NEL LATTE
Prendete un pezzo di maiale nella lombata
del peso di grammi 500 circa, salatelo e mettetelo in cazzaruola con decilitri 21/2 di
latte. Copritelo e fatelo bollire adagio, finché il latte sarà consumato; allora
aumentate il fuoco per rosolarlo e, ottenuto questo, scolate via il grasso e levate il
pezzo della carne per aggiungere in quei rimasugli di latte coagulato un gocciolo di latte
fresco. Mescolate, fategli alzare il bollore e servitevene per ispalmare delle fettine di
pane, appena arrostite, onde servirle per contorno al maiale quando lo manderete caldo in
tavola.
Tre decilitri di latte in tutto potranno
bastare. Cucinato così il maiale riesce di gusto delicato e non istucca.
552. PESCE DI MAIALE ARROSTO
Il pesce di maiale è quel muscolo
bislungo posto ai lati della spina dorsale, che a Firenze si chiama lombo di maiale. Colà
si usa distaccarlo insieme colla pietra e in cotesto modo si presta per un arrosto
eccellente. Tagliatelo a pezzetti e infilatelo nello spiede, tramezzandolo di crostini e
salvia come si usa cogli uccelli, e ungetelo, come questi, coll'olio.
553. AGNELLO ALL'ORIENTALE
Dicono che la spalla d'agnello arrostita
ed unta con burro e latte, era e sia tuttavia una delle più ghiotte leccornie per gli
Orientali; perciò io l'ho provata e ho dovuto convenire che si ottiene tanto da essa che
dal cosciotto un arrosto allo spiede tenero e delicato. Trattandosi del cosciotto, io lo
preparerei in questa maniera, la quale mi sembra la più adatta: steccatelo tutto col
lardatoio di lardelli di lardone conditi con sale e pepe, ungetelo con burro e latte o con
latte soltanto e salatelo a mezza cottura.
554. PICCIONE IN GRATELLA
La carne di piccione per la quantità
grande di fibrina e di albumina che contiene, è molto nutriente ed è prescritta alle
persone deboli per malattia o per altra qualunque cagione. Il vecchio Nicomaco nella
Clizia del Machiavelli, per trovarsi abile a una giostra amorosa, proponevasi di mangiare
uno pippíone grosso, arrosto così verdemezzo che sanguigni un poco.
Prendete un piccione grosso, ma giovine,
dividetelo in due parti per la sua lunghezza e stiacciatele bene colle mani. Poi mettetele
a soffriggere nell'olio per quattro o cinque minuti, tanto per assodarne la carne.
Conditelo così caldo con sale e pepe, e poi condizionatelo in questa maniera: disfate al
fuoco, senza farlo bollire, 40 grammi di burro; frullate un uovo e mescolate l'uno e
l'altro insieme. Intingete bene il piccione in questo miscuglio e dopo qualche tempo
involtatelo tutto nel pangrattato. Cuocetelo in gratella a lento fuoco e servitelo con una
salsa o con un contorno.
555. FEGATELLI IN CONSERVA
Tutti sanno fare i fegatelli di maiale
conditi con olio, pepe e sale, involtati nella rete e cotti in gratella, allo spiede o in
una teglia; ma molti non sapranno che sì possono conservare per qualche mese come si
pratica nella campagna Aretina e forse anche altrove, ponendoli dopo cotti in un tegame e
riempiendo questo di lardo strutto e a bollore. Si levano poi via via che se ne vuoi far
uso e si riscaldano. È una cosa che può far comodo a chi sala il maiale in casa, perché
si avranno allora meno frattaglie da consumare.
Alcuni usano cuocere i fegatelli fra due
foglie di alloro, oppure, come in Toscana, di aggiungere al condimento un po' di seme di
finocchio; ma sono odori acuti che molti stomachi non tollerano, e tornano a gola.
556. BISTECCA ALLA FIORENTINA
Da beef-steak parola inglese che vale
costola di bue, è derivato il nome della nostra bistecca, la quale non è altro che una
braciuola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata di
vitella. I macellari di Firenze chiamano vitella il sopranno non che le altre bestie
bovine di due anni all'incirca; ma, se potessero parlare, molte di esse vi direbbero non
soltanto che non sono più fanciulle, ma che hanno avuto marito e qualche figliuolo.
L'uso di questo piatto eccellente,
perché sano, gustoso e ricostituente, non si è ancora generalizzato in Italia, forse a
motivo che in molte delle sue provincie si macellano quasi esclusivamente bestie vecchie e
da lavoro. In tal caso colà si servono del filetto, che è la parte più tenera, ed
impropriamente chiamano bistecca una rotella del medesimo cotta in gratella.
Venendo dunque al merito della vera
bistecca fiorentina, mettetela in gratella a fuoco ardente di carbone, così naturale come
viene dalla bestia o tutt'al più lavandola e asciugandola; rivoltatela più volte,
conditela con sale e pepe quando è cotta, e mandatela in tavola con un pezzetto di burro
sopra. Non deve essere troppo cotta perché il suo bello è che, tagliandola, getti
abbondante sugo nel piatto. Se la salate prima di cuocere, il fuoco la risecchisce, e se
la condite avanti con olio o altro, come molti usano, saprà di moccolaia e sarà
nauseante.
557. BISTECCA NEL TEGAME
Se avete una grossa bistecca che, per
esser di bestia non tanto giovane o macellata di fresco, vi faccia dubitare della sua
morbidezza, invece di cuocerla in gratella, mettetela in un tegame con un pezzetto di
burro e un gocciolino d'olio, e regolandovi come al n. 527, datele odore di aglio e
ramerino. Aggiungete, se occorre, un gocciolo di brodo o d'acqua, oppure sugo di pomodoro
e servitela in tavola con patate a tocchetti cotti nel suo intinto, e se questo non basta,
aggiungete altro brodo, burro e conserva di pomodoro.
558. ARNIONI ALLA PARIGINA
Prendete un rognone, ossia una pietra di
vitella, digrassatela, apritela e copritela d'acqua bollente. Quando l'acqua sarà
diacciata, asciugatela bene con un canovaccio ed infilatela per lungo e per traverso con
degli stecchi puliti onde stia aperta (a Parigi si usano spilloni di argento), conditela
con grammi 30 di burro liquefatto, sale e pepe, e lasciatela così preparata per un'ora o
due.
Dato che la pietra sia del peso di 600 o
700 grammi, prendete altri 30 grammi di burro ed un'acciuga grossa o due piccole,
nettatele, tritatele e schiacciatele colla lama di un coltello insieme col burro e
formatene una pallottola. Cuocete la pietra in gratella, ma non troppo onde resti tenera,
ponetela in un vassoio, spalmatela così bollente colla pallottola di burro e d'acciuga e
mandatela in tavola.