Qualità e stagione dei pesci:
Tra i pesci comuni, i più fini sono: lo
storione, il dentice, l'ombrina, il ragno, la sogliola, il rombo, il pesce San Pietro,
l'orata, la triglia di scoglio, la trota d'acqua dolce; ottimi tutto l'anno, ma la
sogliola e il rombo specialmente d'inverno.
Le stagioni per gli altri pesci più
conosciuti sono: pel nasello, l'anguilla e i totani, tutto l'anno; ma l'anguilla è più
adatta l'inverno e i totani sono migliori l'estate.
Pel muggine grosso di mare, il luglio e
l'agosto; pel muggine piccolo (cefalo), l'ottobre e il novembre, ed anche tutto l'inverno.
Pei ghiozzi, frittura e seppie, il marzo, l'aprile e il maggio. Pei polpi, l'ottobre. Per
le sarde e le acciughe, tutto l'inverno fino all'aprile. Per le triglie (barboni), il
settembre e l'ottobre. Pel tonno, dal marzo all'ottobre. Per lo sgombro, la primavera,
specialmente il maggio; questo pesce, per la sua carne dura e tigliosa, si usa cuocerlo in
umido; volendolo fare in gratella sarà bene metterlo al fuoco sopra un foglio grosso di
carta unto e condirlo con olio, sale, pepe e qualche foglia di ramerino.
Tra i crostacei, uno de' più stimati è
l'arigusta, o aragosta, buona tutto l'anno, ma meglio in primavera, e tra le conchiglie,
l'ostrica, la quale ne' luoghi di ostricultura si raccoglie dall'ottobre all'aprile.
Il pesce, se è fresco, ha l'occhio
vivace e lucido; lo ha pallido ed appannato se non è fresco. Un altro indizio della sua
freschezza è il colore rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad
arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso: l'odore vi farà la spia. Un
altro carattere del pesce fresco è la sodezza delle carni, perché se sta molto nel
ghiaccio diventa frollo e morbido al tatto.
I marinai dicono che, i crostacei e i
ricci di mare, sono più pieni pescati durante il chiaro di luna.
455.
CACCIUCCO I
Cacciucco! Lasciatemi far due chiacchiere
su questa parola la quale forse non è intesa che in Toscana e sulle spiagge del
Mediterraneo, per la ragione che ne' paesi che costeggiano l'Adriatico è sostituita dalla
voce brodetto. A Firenze, invece, il brodetto è una minestra che s'usa per Pasqua d'uova,
cioè una zuppa di pane in brodo, legata con uova frullate e agro di limone. La confusione
di questi e simili termini fra provincia e provincia, in Italia, è tale che poco manca a
formare una seconda Babele. Dopo l'unità della patria mi sembrava logica conseguenza il
pensare all'unità della lingua parlata, che pochi curano e molti osteggiano, forse per un
falso amor proprio e forse anche per la lunga e inveterata consuetudine ai propri
dialetti.
Tornando al cacciucco, dirò che questo,
naturalmente, è un piatto in uso più che altrove nei porti di mare, ove il pesce si
trova fresco e delle specie occorrente al bisogno. Ogni pescivendolo è in grado di
indicarvi le qualità che meglio si addicono a un buon cacciucco; ma buono quanto si
voglia, è sempre un cibo assai grave e bisogna guardarsi dal farne una scorpacciata.
Per grammi 700 di pesce, trinciate fine
mezza cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d'aglio intero.
Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodori a pezzi, o
conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che siano i pomodori, versate sui medesimi un
dito d'aceto se è forte, e due se è debole, diluito in un buon bicchier d'acqua.
Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l'aglio e passate il resto
spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in
pronto, come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, pesce cappone,
palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamassi cicale, ed altre varietà della
stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi. Assaggiate se sta
bene il condimento; ma in ogni caso non sarà male aggiungere un po' d'olio tenendosi
piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa
portarlo in tavola in due vassoi separati; in uno il pesce asciutto, nell'altro tante
fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta, ma prima
asciugatele al fuoco senza arrostirle.
456.
CACCIUCCO II
Questo cacciucco, imparato a Viareggio,
è assai meno gustoso dell'antecedente, ma più leggiero e più digeribile.
Per la stessa quantità di pesce pestate
in un mortaio tre grossi spicchi d'aglio e dello zenzero fresco, oppure secco, per ridurlo
in polvere. Per zenzero colà s'intende il peperone rosso piccante, quindi va escluso il
pepe. Mettete questo composto al fuoco in un tegame o pentola di terra con olio in
proporzione e quando avrà soffritto versateci un bicchiere di liquido composto di un
terzo di vino bianco asciutto oppure rosso e il resto acqua. Collocateci il pesce,
salatelo e poco dopo sugo di pomodoro o conserva sciolta in un gocciolo d'acqua. Fate
bollire a fuoco ardente tenendo sempre il vaso coperto, non toccate mai il pesce per non
romperlo, e lo troverete cotto in pochi minuti.
Servitelo come il precedente, con fette
di pane a parte che asciugherete prima al fuoco senza arrostirle.
Se il pesce, prima di cuocerlo, resta
crudo per diverse ore, si conserva meglio salandolo; ma allora è bene di lavarlo avanti
di metterlo al fuoco.
457.
PESCE AL PIATTO
Ritengo che il pesce, per essere alimento
poco nutritivo, sia più igienico usarlo promiscuamente alla carne anziché cibarsi
esclusivamente di esso ne' giorni magri, ammenoché non vi sentiate il bisogno di
equilibrare il corpo per ripienezza di cibi troppo succolenti. Di più il pesce, in
ispecie i così detti frutti di mare e i crostacei, per la quantità notevole d'idrogeno e
di fosforo che contengono, sono eccitanti e non sarebbero indicati per chi vuol vivere in
continenza.
Meglio è il servirsi per questo piatto
di qualità diverse di pesce minuto; ma si può cucinare nella stessa maniera anche il
pesce a taglio in fette sottili. Quando io l'ho fatto di sogliole e triglie, ho diviso le
prime in tre parti. Dopo che avrete nettato, lavato e asciugato il pesce, ponetelo in un
vaso di metallo o di porcellana che regga al fuoco e conditelo con un battuto d'aglio e
prezzemolo, sale e pepe, olio, agro di limone e vino bianco buono.
Ponete in fondo metà del battuto con un
po' d'olio, distendetegli sopra il pesce, e poi, versando dell'altro olio e il resto degli
ingredienti, fate che il pesce vi sguazzi entro. Cuocetelo con fuoco sotto e sopra; se il
vassoio è di porcellana posatelo sulla cinigia.
Non è piatto difficile a farsi e però
vi consiglio di provarlo, persuaso che ve ne troverete contenti.
458.
PESCE MARINATO
Sono parecchie le specie de' pesci che si
possono marinare; ma io preferisco le sogliole e le anguille grosse. Se trattasi di
sogliole friggetele prima nell'olio e salatele; se di anguilla tagliatela a pezzi lunghi
circa mezzo dito e, senza spellarli, cuoceteli in gratella o allo spiedo. Quando hanno
gettato il grasso conditeli con sale e pepe.
Prendete una cazzaruola e in essa
versate, in proporzione del pesce, aceto, sapa (che qui ci sta come il cacio su'
maccheroni), foglie di salvia intere, pinoli interi, uva passolina, qualche spicchio
d'aglio tagliato in due per traverso e del candito a pezzettini. Mancandovi la sapa
supplite collo zucchero e assaggiate per correggere il sapore dell'aceto, se fosse troppo
forte. Fate che questo composto alzi il bollore e poi versatelo sul pesce che avrete
collocato in un tegame di terra, disteso in modo che il liquido lo investa da tutte le
parti. Fategli spiccare un'altra volta il bollore col pesce dentro, poi coprite il vaso e
riponetelo.
Quando lo servite in tavola prendetene
quella quantità che vi abbisogna con un poco dei suo intinto, unendovi anche porzione
degli ingredienti che vi sono. Se col tempo il pesce prosciugasse, rinfrescatelo con un
altro poco di marinato. Anche l'anguilla scorpionata che è messa in commercio, potete
prepararla in questa maniera.
459.
PESCE LESSO
Non sarà male avvertire che si usa
cuocere il pesce lesso nella seguente maniera: si mette l'acqua occorrente, non però in
molta quantità, al fuoco; si sala e prima di gettarvi il pesce si fa bollire per circa un
quarto d'ora coi seguenti odori: un quarto o mezza cipolla, a seconda della quantità del
pesce, steccata con due chiodi di garofani, pezzi di sedano e di carota, prezzemolo e due
o tre fettine di limone; oppure (come alcuni credono meglio) si mette al fuoco con acqua
diaccia e con gli odori indicati e, dopo cotto, si lascia in caldo nel suo brodo fino
all'ora di servirlo. Con le fettine di limone strofinatelo prima tutto da crudo, che così
rimane con la pelle più unita.
Il punto della cottura si conosce dagli
occhi che schizzano fuori, dalla pelle che si distacca toccandola e dalla tenerezza che
acquista il pesce bollendo. Mandatelo caldo in tavola, non del tutto asciutto dall'acqua
in cui è stato cotto, e se desiderate vi faccia miglior figura, copritelo di prezzemolo
naturale e collocatelo in mezzo a un contorno misto di barbabietole cotte nell'acqua se
piccole, o in forno se grosse, e di patate lesse, tanto le une che le altre tagliate a
fette sottilissime perché prendano meglio il condimento; unite, infine, qualche spicchio
di uova sode. Non facendogli il contorno potete servirlo con le salse dei numeri 128, 129, 130, 132, 133 e 134.
Si può anche mandare in tavola il pesce
lesso decorato nella seguente maniera che farà di sé bella mostra. Tagliato a pezzetti e
colmatone un vassoio, intonacarlo tutto di maionese n. 126 e questa
ornarla a disegno con filetti di acciughe salate e di capperi interi.
460. PESCE COL PANGRATTATO
Questo piatto, che può servire anche di
tramesso, si fa specialmente quando rimane del pesce lessato di qualità fine. Tagliatelo
a pezzetti, nettatelo bene dalle spine e dalle lische, poi ponetelo nella balsamella n. 137 e dategli sapore
con sale quanto basta, parmigiano grattato e tartufi tagliati fini. Mancandovi questi
ultimi, servitevi di un pizzico di funghi secchi rammolliti. Poi prendete un vassoio che
regga al fuoco, ungetelo con burro e spolverizzatelo di pangrattato; versateci il composto
e copritelo con un sottile strato pure di pangrattato. Per ultimo mettete sul mezzo del
colmo un pezzetto di burro, rosolatelo al forno da campagna e servitelo caldo.
461. PESCE A TAGLIO IN UMIDO
Il pesce a taglio di cui potete servirvi
per questo piatto di ottimo gusto, può essere il tonno, l'ombrina, il dentice o il ragno,
chiamato impropriamente bronzino lungo le coste dell'Adriatico. Qualunque sia prendetene
un pezzo di circa grammi 6oo che potrà bastare per cinque persone.
Levategli le scaglie e, lavato ed
asciugato, infarinatelo tutto e mettetelo a rosolare con poco olio. Levatelo asciutto,
gettate via il poco olio rimasto e pulite la cazzaruola. Fate un battuto, tritato molto
minuto, con mezza cipolla di mediocre grandezza, un pezzo di sedano bianco lungo un palmo
e un buon pizzico di prezzemolo; mettetelo al fuoco con olio a sufficienza e conditelo con
sale, pepe e un chiodo di garofano intero. Quando avrà preso colore fermatelo con molto
sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Lasciatelo bollire un poco e poi
collocateci il pesce per finirne la cottura, voltandolo spesso, ma vi prevengo di servirlo
con molto del suo denso intinto onde vi sguazzi dentro.
462. PESCE SQUADRO IN UMIDO
Il pesce squadro o pesce angelo (Rhína
Squatina) è affine alle razze per avere il corpo depresso. La sua pelle, aspra e
resistente, serve per pulimentare il legno e l'avorio e per foderare astucci, guaine di
coltelli o di spade e cose simili. La sua carne è ordinaria, ma trattata nella seguente
maniera riesce un piatto da famiglia non solo mangiabile, ma più che discretamente buono
e di poca spesa, perché trovasi comune da noi.
Componete un battuto, tritato fine, con
un buon pizzico di prezzemolo, mezza carota, un pezzo di sedano, mezzo spicchio d'aglio e,
se il pesce fosse grammi 600 circa, cipolla quanto una grossa noce. Ponete il battuto al
fuoco con olio in proporzione e quando sarà rosolato fermatelo con sugo di pomodoro o
conserva sciolta in un mezzo bicchiere d'acqua. Conditelo con sale e pepe e collocateci
sopra il pezzo del pesce che preferibilmente dev'essere dalla parte della coda, la quale
è molto grossa. Cuocetelo adagio e quando sarà giunto a due terzi di cottura aggiungete,
per legare la salsa e per dargli un gusto più delicato, un pezzetto di burro bene
impiastricciato di farina e finite di cuocerlo.
463. NASELLO ALLA PALERMITANA
Prendete un nasello (merluzzo) del peso
di grammi 500 a 600, tosategli tutte le pinne, eccetto quella della coda, lasciandogli la
testa. Sparatelo lungo il ventre per levargli le interiora e la spina, spianatelo e
conditelo con poco sale e pepe. Voltatelo dalla parte della schiena, ungetelo con olio,
conditelo con sale e pepe, panatelo, poi collocatelo supino con due cucchiaiate d'olio
sopra un vassoio che regga al fuoco o sopra una teglia.
Prendete tre grosse acciughe salate, o
quattro, se sono piccole, nettatele dalle scaglie e dalle spine, tritatele e mettetele al
fuoco con due cucchiaiate d'olio per disfarle, badando che non bollano. Con questa salsa
spalmate il pesce nella parte di sopra, cioè sulla pancia e copritela tutta di
pangrattato spargendovi sopra qualche foglia di ramerino, piacendovi. Cuocetelo fra due
fuochi e fategli fare la crosticina, ma badate non risecchisca troppo, anzi perciò
spargetegli sopra dell'altro olio e prima di levarlo strizzategli sopra un grosso mezzo
limone. Credo potrà bastare per quattro o cinque persone se io servite in tavola
contornato da crostini di caviale o di acciughe e burro.
464. ROTELLE DI PALOMBO IN SALSA
Il palombo (Mustelus) è un pesce della
famiglia degli squali ossia de' pescicani, e perciò in alcuni paesi il palombo si chiama
pescecane. Questa spiegazione serva per chi non sapesse cosa è il palombo, il quale
prende grandi dimensioni e la sua carne è forse la migliore tra i pesci del sott'ordine
dei selachi cui appartiene.
Prendete rotelle di palombo grosse mezzo
dito; se le lavate, asciugatele dopo in un canovaccio, spellatele con un coltello che
tagli bene, conditele con sale e pepe e tenetele per diverse ore in infusione nell'uovo
frullato. Friggetele nell'olio, ma prima copritele di pangrattato rituffandole per due
volte nell'uovo.
Ora fate la salsa componendola nella
seguente maniera:
Prendete una teglia o un tegame largo ove
possano star distese e nel medesimo ponete olio in proporzione, un pezzetto di burro
intriso bene nella farina, la quale serve per legare la salsa, un pizzico di prezzemolo
tritato, sugo di pomodoro, oppure conserva diluita coll'acqua e una presa di sale e pepe.
Quando questa salsa avrà soffritto un poco sul fuoco, mettete nella medesima le rotelle
di palombo, fritte, voltatele dalle due parti ed aggiungete acqua onde la salsa riesca
liquida. Levatele dal fuoco, spargete sulle medesime un poco di parmigiano grattato e
mandatele in tavola ove saranno molto lodate.
465. SOGLIOLE IN GRATELLA
Quando le sogliole (Solea vulgaris) sono
grosse, meglio è cuocerle in gratella e condirle col lardo invece dell'olio; acquistano
in questo modo un gusto più grato. Sbuzzatele, raschiatene le scaglie, lavatele e poi
asciugatele bene. Dopo spalmatele leggermente di lardo vergine diaccio e che non sappia di
rancido; conditele con sale e pepe ed involtatele nel pangrattato. Sciogliete in un
tegamino un altro poco di lardo ed ungetele con una penna anche quando le rivoltate sulla
gratella.
Le sogliole da friggere quando sono
grosse, si possono spellare da ambedue le parti o anche solo dalla parte scura,
infarinandole e tenendole nell'uovo per qualche ora, prima di gettarle in padella.
Una singolarità di questo pesce,
meritevole di essere menzionata, è che esso nasce, come tutti gli animali bene
architettati, con un occhio a destra ed uno a sinistra; ma a un certo periodo della sua
vita l'occhio che era nella parte bianca, cioè a sinistra, si trasporta a destra e si
fissa come quell'altro nella parte scura. Le sogliole e i rombi nuotano collocati sul lato
cieco. Alla sogliola, per la bontà e delicatezza della sua carne, i Francesi danno il
titolo di pernice di mare; è un pesce facile a digerirsi, regge più di tanti altri alla
putrefazione e non perde stagione. Si trova abbondante nell'Adriatico ove viene pescato di
nottetempo con grandi reti a sacco, fortemente piombate alla bocca, le quali raschiando il
fondo del mare sollevano il pesce insieme colla sabbia e col fango in cui giace.
Il rombo, la cui carne è poco dissimile
da quella della sogliola ed anche più delicata, è chiamato fagiano del mare.
466. FILETTI DI SOGLIOLE COL VINO
Prendete sogliole che non sieno meno di
grammi 150 ciascuna, levate loro la testa e spellatele. Poi con un coltello che tagli bene
separate dalle spine la carne per ottenere quattro lunghi filetti per ogni sogliola od
anche otto se le sogliole fossero molto grosse. Con la costola del coltello batteteli
leggermente e con la lama del medesimo spianateli per renderli sottili e così conciati
lasciateli per diverse ore nell'uovo frullato condito con sale e pepe. involtateli poi nel
pangrattato e friggeteli nell'olio. Dopo versate in un tegame o in una teglia, ove possano
star distesi, un gocciolo di quell'olio rimasto nella padella e un pezzetto di burro,
disponeteci sopra i filetti, conditeli ancora un poco con sale e pepe e quando avranno
soffritto alquanto, bagnateli col vino bianco asciutto, fate bollire per cinque minuti
insieme con un poco di prezzemolo tritato e serviteli con la salsa che hanno, spargendoci
sopra un pizzico di parmigiano. È un piatto di molta comparita. Servitelo con spicchi di
limone. Anche i naselli si possono cucinare nella stessa maniera.
La parola asciutto applicata al vino, in
questo caso è di rigore perché altrimenti la pietanza saprebbe troppo di dolce. Una
sogliola di comune grandezza può servire per una persona.
467. CONTORNO DI FILETTI DI SOGLIOLE A UN FRITTO DELLO STESSO
PESCE
Prendete un paio di sogliole mezzane
oppure una sola, staccatene i filetti dopo averle spellate, che saranno quattro, e
tagliateli per traverso a listarelle fini come fiammiferi. Se li tagliate in isbieco li
otterrete alquanto più lunghi e sarà meglio. Metteteli in una scodella col sugo di un
limone o più se occorre, e lasciateli così marinare per due o tre ore il che li farà
irrigidire, ché altrimenti riuscirebbero mosci. Poco prima di servire in tavola
asciugateli con un canovaccio, immergeteli nel latte, infarinateli, cercate che non
facciano gomitolo e friggeteli nell'olio; poi salateli leggermente.
468. TRIGLIE COL PROSCIUTTO
Non è sempre vero il proverbio: Muto
come un pesce, perché la triglia, l'ombrina e qualche altro, emettono suoni speciali che
derivano dalle oscillazioni di appositi muscoli, rafforzate da quelle dell'aria contenuta
nella vescica natatoria.
Le triglie più grosse e saporose sono
quelle di scoglio; ma per cucinarle in questa maniera, possono servire triglie di mezzana
grandezza che nella regione adriatica chiamassi rossioli o barboni. Dopo averle nettate e
lavate asciugatele bene con un canovaccio e poi ponetele in una scodella da tavola e
conditele con sale, pepe, olio e agro di limone. Lasciatele così per qualche ora e quando
sarete per cuocerle, tagliate tante fettine sottili di prosciutto grasso e magro larghe
come le triglie e in quantità uguale al numero di esse. Prendete un vassoio o un tegame
di metallo, spargete in fondo al medesimo qualche foglia di salvia intera, involtate bene
le triglie nel pangrattato e disponetele in questa guisa: addossatele insieme ritte e
frapponete le fettine di prosciutto fra l'una e l'altra, spargendovi sopra altre foglie di
salvia.
Per ultimo versate sopra le medesime il
condimento rimasto e cuocetele fra due fuochi. Se volete che questo piatto riesca più
signorile, levate la spina alle triglie da crude aprendole dalla parte davanti,
richiudendole poscia.
469. TRIGLIE IN GRATELLA ALLA MARINARA
Dopo averne estratto l'intestino, con la
punta di un coltello, dalle branchie, lavatele ed asciugatele e nel posto dov'era
l'intestino collocate un pezzetto d'aglio. Conditele con sale, pepe, olio, foglie di
ramerino e lasciatele così condite. Quando sarete per cuocerle involtatele nel
pangrattato ed ungetele col condimento allorché saranno sul fuoco. Oppure, dopo averle
nettate, lavate ed asciugate, conditele con poco sale e pepe e cuocetele così naturali a
fuoco ardente. Collocate poi sul vassoio, conditele solo allora con olio, un altro po' di
sale e pepe.
Servitele con spicchi di limone.
470. TRIGLIE DI SCOGLIO IN GRATELLA
Questo bellissimo pesce di color rosso
vivace, che raggiunge il peso di 500 a 600 grammi, eccellente al gusto, si suole cuocere
in gratella nella seguente maniera:
Conditelo con olio, sale e pepe,
cuocetelo a fuoco ardente e quando lo levate spalmatelo così a bollore con un composto di
burro, prezzemolo trito e agro di limone preparato avanti. Trattamento questo che può
servire anche per altri pesci grossi cotti in gratella.
Gli antichi Romani stimavano il pesce
più delizioso della carne e le specie che maggiormente apprezzavano erano: lo storione,
il ragno, la lampreda, la triglia di scoglio e il nasello pescato nel mar della Siria
senza annoverar le murene che alimentavano in modo grandioso in appositi vivai e che
nutrivano anche con la carne dei loro schiavi.
Vedio Pollione, noto nella storia per la
sua ricchezza e per la sua crudeltà, mentre cenava con Augusto comandò fosse gettato nel
vivaio, alle murene, uno sventurato servo che aveva rotto disavvedutamente un bicchiere di
cristallo. Augusto, ai cui piedi cadde lo schiavo, invocando la sua intercessione, poté
salvarlo a stento con un ingegnoso suo strattagemma.
Le triglie grosse di scoglio, che
raggiungevano il peso non mica di soli grammi 500 a 600, come dico più sopra, ma perfino
di 4 a 6 libbre, erano stimate assai e pagate a prezzi altissimi, favolosi. La mollezza
dei costumi e la golosità avendo nei Romani raffinato il senso del gusto, studiavansi di
appagarlo con le vivande più delicate e perciò avevano inventata una certa salsa
chiamata gareleo nella quale disfacevano e stemperavano la coratella di questo grosso
pesce per intingervi la carne del medesimo.
471. TRIGLIE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino con aglio, prezzemolo e
un pezzo di sedano; mettetelo al fuoco con olio a buona misura e quando l'aglio avrà
preso colore, unitevi pomodori a pezzi e condite con sale e pepe. Lasciate che i pomodori
cuociano bene, rimestateli spesso e passatene il sugo. In questo sugo collocate le triglie
e cuocetele. Se sono piccole non hanno bisogno d'esser voltate e se il vaso dove hanno
bollito distese non è abbastanza decente prendetele su a una a una per non romperle e
collocatele in un vassoio.
Poco prima di levarle dal fuoco fioritele
leggermente di prezzemolo tritato.
La pesca di questo pesce è più facile e
più produttiva di giorno che di notte e la sua stagione, quando cioè è più grasso, è,
come si disse, il settembre e l'ottobre.
472. TRIGLIE ALLA VIAREGGINA
Se le triglie fossero in quantità di
circa mezzo chilogrammo fate un battutino con due spicchi d'aglio e un buon pizzico di
prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio a buona misura in un tegame o in una teglia ove le
triglie possano star distese e quando il soffritto sarà rosolato fermatelo con sugo di
pomodoro semplice. Lasciate bollire alquanto, poi collocateci le triglie rivoltandole
nell'intinto a una a una. Copritele e fatele bollire adagio e quando avranno ritirato
buona parte dell'umido versateci un dito (di bicchiere) di vino rosso annacquato con due
dita di acqua.
Fatele bollire ancora un poco e
servitele.
473.
TONNO FRESCO
Il tonno, pesce della famiglia degli
sgombri, è proprio del bacino mediterraneo. In certe stagioni abita le parti più
profonde del mare, in altre invece si accosta alle spiagge, ove ha luogo la pesca che
riesce abbondantissima. La sua carne, per l'oleosità che contiene, rammenta quella del
maiale, e perciò non è di facile digestione. Si vuole che si trovino dei tonni il cui
peso raggiunga fino i 500 chilogrammi. La parte più tenera e delicata di questo pesce è
la pancia, che in Toscana chiamasi sorra.
Tagliatelo a fette grosse mezzo dito e
mettetelo al fuoco, sopra un abbondante soffritto d'aglio, prezzemolo e olio, quando
l'aglio comincia a prender colore. Conditelo con sale e pepe, voltate le fette dalle due
parti e, a mezza cottura, aggiungete sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Cotto
che sia levatelo asciutto e nel suo sugo cuocete i piselli, poi rimettetelo sopra i
medesimi per riscaldarlo e mandatelo in tavola con questo contorno.
474.
TONNO IN GRATELLA
Tagliatelo a fette come il precedente, ma
preferite la sorra; conditelo con olio, sale e pepe, involgetelo nel pangrattato e
cuocetelo, servendolo con spicchi di limone.
475. TONNO SOTT'OLIO IN SALSA ALLA BOLOGNESE
Prendete un pezzo tutto unito di tonno
sott'olio del peso di grammi 150, mettetelo al fuoco con acqua bollente e fatelo bollire
adagio per mezz'ora cambiandogli l'acqua ogni dieci minuti, cioè tre volte. Frattanto
fate un battuto tritato fine con mezza cipollina di quelle indicate al n. 409,
un quarto di spicchio d'aglio, due costole di sedano bianco lunghe un palmo ciascuna, un
bel pezzo di carota e un pugno abbondante di prezzemolo.
Ponetelo al fuoco con tre cucchiaiate
d'olio e grammi 15 di burro e quando avrà preso colore fermatelo con due dita (di
bicchiere) d'acqua e lasciatelo bollire un poco. Il tonno, diaccio che sia, tagliatelo a
fette più sottili che potete e, preso un tegame, distendetelo nel medesimo a strati,
intercalandolo con la salsa e grammi 15 di burro sparso a pezzetti. Fategli alzare il
bollore al fuoco per liquefare il burro, strizzategli sopra mezzo limone e servitelo
caldo. Potrà bastare per quattro persone come principio a una colazione di magro o come
tramesso a un desinare di famiglia e non è piatto da disprezzarsi, perché non aggrava
né anche molto lo stomaco.
476.
ARIGUSTA
L'aragosta o arigusta è un crostaceo dei
più fini e delicati, comune sulle coste del Mediterraneo. È indizio della freschezza e
della buona qualità delle ariguste, degli astaci e de' crostacei in genere, il loro peso
in proporzione della grossezza; ma sempre è da preferirsi che siano vivi ancora, o almeno
che diano qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa ripiegare la coda dell'arigusta
alla parte sottostante e legarla avanti di gettarla nell'acqua bollente per cuocerla.
A seconda della sua grossezza fatela
bollire dai 30 ai 40 minuti; ma prima aromatizzate l'acqua in cui deve bollire con un
mazzetto composto di cipolla, carote, prezzemolo e due foglie d'alloro, aggiungendo a
questo due cucchiai di aceto e un pizzico di sale. Lasciate che l'arigusta diacci nel suo
brodo e quando la levate, sgrondatela dall'acqua strizzandone la coda e dopo averla
asciugata strofinatela con qualche goccia d'olio per renderla lucida.
Mandatela in tavola con una incisione dal
capo alla coda per poterne estrarre facilmente la polpa e, se non si volesse mangiare
condita semplicemente con olio e agro di limone, accompagnatela con la salsa maionese o
con altra salsa piccante; ma potete servirla pur anche con una salsa fatta con lo stesso
pesce nel seguente modo:
Levate la polpa della testa e questa
tritatela ben fine con un rosso d'uovo assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il
composto in una salsiera, conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con olio fine
e l'agro di mezzo limone, o aceto.
477. COTOLETTE DI ARIGUSTA
Prendete un'arigusta del peso di grammi
650 circa, lessatela come è indicato nella ricetta precedente, poi sgusciatela per
estrarne tutta la parte interna che triterete all'ingrosso con la lunetta. Fate una
balsamella nelle proporzioni e come quella del n. 220 e
quando la ritirate dal fuoco gettateci dentro l'arigusta, salatela e dopo aver mescolato
bene il composto, versatelo in un piatto e lasciatelo, per qualche ora, raffreddar bene
Quando sarete per formare le cotolette
dividete il composto in dieci parti eguali e facendole toccare il pangrattato modellatele
fra la palma delle mani alla grossezza un po' più di mezzo dito; tuffatele nell'uovo
frullato, panatele ancora e friggetele nell'olio. Delle lunghe corna dell'arigusta fatene
dieci pezzi che infilerete nelle cotolette quando le mandate in tavola onde facciano fede
della nobile materia di cui le cotolette sono composte. Possono bastare per cinque persone
ed è un piatto molto delicato.
478.
CONCHIGLIE RIPIENE
È un piatto delicato di pesce che può
servire per principio a una colazione.
I gusci delle conchiglie marine per
quest'uso devono essere, nella parte concava, larghi quanto la palma di una mano onde
ognuno, col contenuto suo, possa bastare a una persona. Appartengono al genere Pecten
Iacobaeus, Pettine, detto volgarmente cappa santa perché si usava dai pellegrini. La
carne di questa conchiglia, buona a mangiarsi, è molto apprezzata pel suo delicato
sapore. In qualche casa signorile usansi conchiglie d'argento e allora possono servire
anche per gelati, ma in questo caso, trattandosi di pesce, mi sembrano più opportune
quelle naturali marine.
Prendete la polpa di un pesce fine
lessato, benché possa prestarsi anche il nasello, il muggine e il palombo, e con questa
dose, che potrà bastare per riempire sei conchiglie, formate il seguente composto:
Pesce lesso, grammi 130.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Farina, grammi 20.
Burro, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 2.
Latte, decilitri 2 1/2.
Fate una balsamella col latte, il burro e
la farina e quando la ritirate dal fuoco uniteci il parmigiano e, non più a bollore, i
rossi d'uovo e il pesce tritato, condendolo con sale e pepe. Versatelo nelle conchiglie
unte prima col burro diaccio, rosolatelo appena nel forno da campagna e servitelo.
Si potrebbero riempir le conchiglie anche
con la polpa del pollo lesso tritato conservando le stesse proporzioni.
479.
STORIONE
Mi permetta il lettore di fare un po' di
storia su questo pesce interessantissimo.
Lo storione appartiene all'ordine dei
Ganoidi, da Ganus che vuol dire lucente, per la lucentezza delle squame, e al sott'ordine
dei Chondrostei per avere lo scheletro cartilagineo. Costituisce la famiglia degli
Acipenser che si qualifica appunto per questi due distintivi e per la pelle a cinque serie
longitudinali di placche a smalto. È un pesce che ha la bocca posta alla faccia inferiore
del capo, priva di denti e in forma di succhiatoio protrattile, con cirri nasali ossia
tentacoli, per cercare sotto le acque, nel fango, il nutrimento che pare consista di
piccoli animalucci.
Sono animali molto in pregio per le loro
carni, per le uova che costituiscono il caviale e per l'enorme vescica natatoria con cui
si forma l'ittiocolla o colla di pesce. In primavera rimontano i fiumi per deporre le uova
in luoghi tranquilli lungo le sponde.
L'Italia ne alberga diverse specie, la
più stimata delle quali, come cibo, è l'Acipenser sturio (storione comune); lo si
riconosce pel muso acuto, pel labbro inferiore carnoso e nel mezzo diviso, non che pei
cirri nasali semplici e tutti eguali tra loro. Frequenta a preferenza le foci del Ticino e
del Po ove, non è gran tempo, ne fu pescato uno che pesava Kg. 215; ma la specie che
prende maggior sviluppo è l'Acipenser huso, il quale raggiunge fino a due metri e più di
lunghezza, con ovaia grandi un terzo dell'animale, ed è questa particolarmente che
somministra il caviale e l'ittiocolla. Il primo è formato dalle uova crude degli
storioni, passate per setaccio onde levarne i filamenti che le inviluppano, indi salate e
fortemente compresse; la seconda preparasi sulle spiagge del mar Caspio o sulle coste dei
fiumi che vi sboccano, ma più che altrove ad Astrachan. Non farà meraviglia la quantità
straordinaria che se ne trova in commercio (servendo l'ittiocolla a molti usi) se si
considera che talvolta nel Volga si pescano da quindici a ventimila storioni al giorno; e
di là, cioè dalle provincie meridionali della Russia, ci viene anche il caviale. Fu
annunziato che dei pescatori dei Danubio presero, non ha guari, uno storione del peso di
otto quintali e che la spoglia di questo enorme pesce, lungo metri 3,30, figura nel Museo
di Vienna.
Fra le specie estinte si annovera il
Magadictis, che raggiungeva la lunghezza di 10 a 12 metri.
480. STORIONE IN FRICANDÒ
Lo storione è buono in tutte le maniere:
lesso, in umido, in gratella. Quanto all'umido, potete trattarlo nel seguente modo:
prendetene un pezzo grosso del peso almeno di grammi 500, spellatelo e steccatelo con
lardelli di lardone conditi avanti con sale e pepe; poi legatelo in croce, infarinatelo,
mettetelo al fuoco con olio e burro e conditelo ancora con sale e pepe. Quando sarà
rosolato da tutte le parti bagnatelo con brodo per tirarlo a cottura e prima di levarlo
strizzategli sopra un limone per mandarlo in tavola col suo sugo.
481. ACCIUGHE ALLA MARINARA
Questo piccolo pesce dalla pelle
turchiniccia e quasi argentata, conosciuto sulle spiagge dell'Adriatico col nome di
sardone, differisce dalla sarda o sardella in quanto che questa è stiacciata, mentre
l'acciuga è rotonda e di sapor più gentile. Ambedue le specie appartengono alla stessa
famiglia, e quando son fresche, ordinariamente si mangiano fritte. Le acciughe però sono
più appetitose in umido con un battutino d'aglio, prezzemolo, sale, pepe e olio; quando
son quasi cotte si aggiunge un po' d'acqua mista ad aceto.
Già saprete che i pesci turchini sono i
meno digeribili fra le specie vertebrate.
482.
ACCIUGHE FRITTE
Se volete dare più bell'aspetto alle
acciughe e alle sardine fritte, dopo aver levata loro la testa e averle infarinate,
prendetele a una a una per la coda, immergetele nell'uovo sbattuto e ben salato, poi di
nuovo nella farina, e buttatele in padella nell'olio a bollore. Meglio ancora se, essendo
grosse, le aprite per la schiena incidendole con un coltello di taglio fine e levate loro
la spina, lasciandole unite per la coda.
483.
SARDE RIPIENE
Per questo piatto ci vogliono sarde delle
più grosse.
Prendetene da 20 a 24 che tante bastano
per la quantità del ripieno qui sotto descritto. Le sarde lavatele, togliete loro la
testa, e con le dita sparatele dalla parte del buzzo per estrarne la spina.
Formate un composto con:
Midolla di pane, gr. 30;
acciughe salate, n. 3;
un rosso d'uovo;
mezzo spicchio d'aglio;
un pizzico di regamo.
La midolla di pane inzuppatela nel latte
e poi strizzatela. Le acciughe nettatele dalle scaglie e dalla spina, e poi tritate e
mescolate ogni cosa insieme servendovi per ultimo della lama di un coltello per ridurre il
composto ben fine. Spalmate con esso le sarde e richiudetele; indi tuffatele ad una ad una
nella chiara d'uovo rimasta, dopo averla sbattuta, avvolgetele nel pangrattato, friggetele
nell'olio, salatele alquanto e servitele con spicchi di limone.
484.
BROCCIOLI FRITTI
Se vi trovate sulla montagna pistoiese in
cerca di clima fresco, di aria pura e di paesaggi incantevoli, chiedete i broccioli, un
pesce d'acqua dolce, dalla forma del ghiozzo di mare e di sapore delicato quanto ed anche
più della trota. Una signora di mia conoscenza, dopo una lunga passeggiata per quelle
montagne, trovava tanto buone le polpette del prete di Piansinatico che le divorava.
485.
TOTANI IN GRATELLA
I totani (Loligo) appartengono all'ordine
de' cefalopodi e sono conosciuti nel litorale adriatico col nome di calamaretti. Siccome
quel mare li produce piccoli, ma polputi e saporiti, cucinati fritti, sono giudicati dai
buongustai un piatto eccellente. Il Mediterraneo, messe a confronto le stesse specie, dà
pesce più grosso, ed ho visto de' totani dell'apparente peso di grammi 200 a 300; ma non
sono sì buoni come quelli dell'Adriatico. Questi, anche tagliati a pezzi, riuscirebbero
duri in frittura, quindi meglio è cuocerli in gratella ripieni, oppure, se sono
grossissimi, in umido. Questo pesce racchiude nell'interno una lamina allungata
flessibile, la penna, ch'altro non è se non un rudimento di conchiglia che va tolto prima
di riempirlo.
Tagliate al totano i tentacoli, che sono
le sue braccia lasciandogli il sacco e la testa, e tritateli colla lunetta insieme con
prezzemolo e pochissimo aglio. Mescolate questo battutino con molto pangrattato, conditelo
con olio, pepe e sale, e servitevi di tal composto per riempire il sacco del pesce; per
chiudere la bocca del detto sacco infilzatela con uno stecchino, che poi leverete.
Conditelo con olio, pepe e sale e cuocetelo, come si è detto, in gratella.
Se vi trovate a Napoli non mancate di
fare una visita all'Acquario nei giardini della Villa Nazionale ove, fra le tante
meraviglie zoologiche, osserverete con piacere questo cefalopodo di forme snelle ed
eleganti nuotare e guizzare con moltissima grazia ed ammirerete pur anche la sveltezza e
la destrezza che hanno le sogliole di scomparire a un tratto fra la sabbia, di cui si
ricoprono, per occultarsi forse al nemico che le insegue.
Tornando ai calamaretti, che è un pesce
alquanto indigesto, ma ottimo in tutte le stagioni dell'anno, dopo aver loro levata la
penna e strizzati gli occhi, lavateli, asciugateli, infarinateli e friggeteli nell'olio:
ma avvertite non vi passino di cottura, la qual cosa è facile se non si sta molto
attenti. Streminziscono allora e si rendono ancora più indigesti. Conditeli caldi con
sale e pepe.
486.
CICALE RIPIENE
Non crediate che voglia parlarvi delle
cicale che cantano su per gli alberi; intendo dire invece di quel crostaceo, squilla
(Squilla mantis), tanto comune nell'Adriatico e colà cognito col nome di cannocchia.
È un crostaceo sempre gustoso a
mangiarsi; ma migliore assai quando in certi mesi dell'anno, dalla metà di febbraio
all'aprile, è più polputo del solito, e racchiude allora un cannello rosso lungo il
dorso, detto volgarmente cera o corallo, il quale non è altro che il ricettacolo delle
uova di quel pesce. È buono lesso, entra con vantaggio, tagliato a pezzi, nella
composizione di un buon cacciucco ed eccellente è in gratella, condito con olio, pepe e
sale; se lo aggradite anche più appetitoso, sparatelo lungo il dorso, riempitelo con un
battutino di pangrattato, prezzemolo e odore d'aglio e condite tanto il ripieno che il
pesce con olio, pepe e sale.
487.
CICALE FRITTE
Alla loro stagione, cioè quando hanno la
cera, com'è detto al numero precedente, si possono friggere nel seguente modo e ne merita
il conto.
Dopo averle lavate, lessatele in poca
acqua, coperte da un pannolino con un peso sopra; 15 minuti di bollitura ritengo siano
sufficienti. Sbucciatele dopo cotte e, messa a nudo la polpa, tagliatela in due pezzi,
infarinatela, doratela nell'uovo frullato e salato, e friggetela nell'olio.
488.
CICALE IN UMIDO
Se non vi rincresce di adoperare le
unghie, d'insudiciarvi le dita e di bucarvi fors'anche le labbra, eccovi un gustoso e
piacevole trastullino.
Prima di cuocerle tenete le cicale
nell'acqua fresca, che così non iscolano, anzi rigonfiano. Fate un battuto con aglio,
prezzemolo e olio; rosolato che sia collocateci le cicale intere e conditele con sale e
pepe. Quando avranno preso il condimento bagnatele con sugo di pomodoro o conserva e
servitele sopra a fette di pane asciugate al fuoco. Prima di mandarle in tavola fate loro
un'incisione con le forbici lungo il dorso per poterle sbucciare più facilmente.
489.
SPARNOCCHIE
Le cicale mi rammentano le sparnocchie
che, a prima vista, le rassomigliano; ma esaminato bene questo crostaceo ha la forma di un
grosso gambero di mare del peso comunemente di 50 o 60 grammi. È di sapore più delicato
dell'arigusta e, come questa, si usa mangiarlo lesso; ma perché non perda sapore meglio
è di arrostirlo in gratella, senza condimento alcuno, e dopo sgusciarlo e condirlo con
olio, pepe, sale ed agro di limone. Le sparnocchie piccole si possono anche, come i
gamberi, infarinare e friggerle così naturali, oppure nel modo indicato per le cicale.
490.
ANGUILLA
L'Anguilla vulgaris è un pesce dei più
singolari. Benché il valligiano di Comacchio pretenda di conoscere, da certi caratteri
esterni, il maschio e la femmina non si è riusciti ancora per quanto lo si sia studiato,
a distinguerne il sesso, forse perché la borsa spermatica del maschio è simile
all'ovario della femmina.
L'anguilla comune abita le acque dolci;
ma per generare ha bisogno di scendere in mare. Questa discesa, che chiamasi la calata, ha
luogo nelle notti oscure e principalmente nelle burrascose dei mesi di ottobre, novembre e
dicembre, e n'è allora più facile ed abbondante la pesca. Le anguille neonate lasciano
il mare ed entrano nelle paludi o nei fiumi verso la fine di gennaio e in febbraio, e in
questo ingresso, che dicesi la montata, vengono pescate alla foce de' fiumi in gran
quantità col nome di cieche e la piscicoltura se ne giova per ripopolare con esse gli
stagni ed i laghi, nei quali, se manca la comunicazione con le acque salse del mare, non
si possono riprodurre.
Recenti studi nello stretto di Messina
hanno rilevato che questo pesce, e i murenoidi congeneri, hanno bisogno di deporre le uova
negli abissi del mare a una profondità non minore di 500 metri, e che, a similitudine
delle rane, subiscono una metamorfosi. Il Leptocephalus brevirostris che ha l'aspetto di
una foglia di oleandro, trasparente come il vetro, ritenuto finora una specie a sé, non
è che il primo periodo di vita, la larva di questo essere, che poi si trasforma in
anguilla capillare, le così dette cieche le quali quando rimontano i fiumi in cerca delle
acque dolci, non sono lunghe mai meno di cinquanta millimetri. Delle vecchie anguille poi,
che sono scese al mare, non si sa che ne avvenga; forse restando nella profonda oscurità
degli abissi marini, muoiono sotto a quella enorme pressione, o si modificano per
adattarsi all'ambiente in cui si trovano.
Un'altra singolarità dei murenoidi in
genere è quella del loro sangue, che iniettato nel torrente della circolazione dell'uomo
è velenoso e mortale, mentre cotto e mangiato è innocuo.
L'anguilla, per la conformazione speciale
delle sue branchie, a semplice fessura, per la sua forma cilindrica e per le squamme assai
minute e delicate può vivere molto tempo fuori dell'acqua: ma ogni qualvolta si sono
incontrate a strisciar sulla terra, il che avviene specialmente di notte, si sono viste
proceder sempre nella direzione di un corso d'acqua, per tramutarsi forse da un luogo ad
un altro, o per cercare, nei prati circostanti alla loro dimora, il cibo che consta di
piccoli animali.
Sono celebri le anguille delle valli di
Comacchio, paese della bassa Romagna, il quale si può dire viva della pesca di questo
pesce che, fresco o marinato, si spaccia non solo in Italia, ma si spedisce anche fuori.
È così produttivo quel luogo che in una sola notte buia e burrascosa dell'ottobre 1905
furono pescati chilogrammi 150.000 di anguille, e più meraviglioso ancora è il risultato
finale della pesca di quell'annata che troverete descritto alla ricetta n. 688.
In alcuni luoghi d'Italia chiamassi
capitoni quando son grosse, e bisatti quando son piccole ed abitano tutti i fiumi di
Europa meno quelli che si versano nel Mar Nero, non eccettuato il Danubio e i suoi
affluenti.
La sola differenza di forma tra
l'anguilla d'acqua dolce e quella di mare, conosciuta col nome di conger o congro, è che
la prima ha la mascella superiore più breve dell'inferiore e l'individuo prende meno
sviluppo, imperocché trovansi dei conger fin di tre metri di lunghezza. Forse, da questo
grosso pesce serpentiniforme, è derivata la favola del serpente di mare, sostenuta un
tempo anche da persone degne di fede che ne esageravano la grandezza, probabilmente per
effetto di allucinazione.
491.
ANGUILLA ARROSTO
Potendo, preferite sempre le anguille di
Comacchio che sono le migliori d'Italia se non le superano quelle del lago di Bolsena
rammentate da Dante.
Quando l'anguilla è grossa e si voglia
cuocere allo spiedo è meglio spellarla. Tagliatela a rocchi lunghi tre centimetri ed
infilateli tra due crostini con qualche foglia di salvia oppure di alloro se non temete
che questo, pel suo odore troppo acuto, vi torni a gola. Cuocetela in bianco a fuoco
moderato e per ultimo datele una bella fiammata per farle fare la crosticina croccante.
Per condimento sale soltanto e spicchi di limone quando si manda in tavola.
L'anguilla mezzana, a parer mio, riesce
più gustosa cotta in gratella con la sua pelle, la quale, rammollita con agro di limone
quando è portata in tavola, può offrire, succhiandola, un sapore non sgradito. Per
condimento sale e pepe soltanto. I Comacchiesi, per la gratella adoperano anguille
mezzane, le spellano se sono un po' grosse, le ripuliscono soltanto se sottili, le
inchiodano con la testa sopra un'asse, le sparano con un coltello tagliente, levano la
spina e così aperte con le due mezze teste, le mettono in gratella, condite solo di sale
e pepe a mezza cottura. Le mangiano bollenti.
L'anguilla richiede nel pasteggiare vino
rosso ed asciutto.
492. ANGUILLE ALLA FIORENTINA
Prendete anguille di mezzana grandezza,
sbuzzatele e spellatele praticando una incisione circolare sotto alla testa, che terrete
ferma con un canovaccio onde non isgusci per l'abbondante mucosità di questo pesce, e
tirate giù la pelle che verrà via tutta intera. Allora tagliatela a pezzi lunghi un dito
o poco meno, che condirete con olio, sale e pepe, lasciandoli stare per un'ora o due.
Per cuocerle servitevi di una teglia o di
un tegame di ferro, copritene il fondo con un velo d'olio, due spicchi d'aglio interi e
foglie di salvia; fate soffriggere per un poco e, presi i pezzi dell'anguilla uno alla
volta, involgeteli nel pangrattato e disponeteli nel tegame uno accanto all'altro versando
lor sopra il resto del condimento. Cuoceteli fra due fuochi e quando avranno preso colore,
versate nel tegame un gocciolo d'acqua.
La carne di questo pesce, assai delicato
e gustoso, riesce alquanto indigesta per la sua soverchia oleosità.
493.
ANGUILLA IN UMIDO
Meglio è che per questo piatto le
anguille sieno grosse anzi che no, e, senza spellarle, tagliatele a pezzetti corti.
Tritate un battuto piuttosto generoso di cipolla e prezzemolo, mettetelo al fuoco con poco
olio, pepe e sale e quando la cipolla avrà preso colore gettateci l'anguilla. Aspettate
che abbia succhiato il sapore del soffritto per tirarla a cottura con sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua. Procurate che vi rimanga dell'intinto in abbondanza se volete
servirla in tavola sopra a crostini di pane arrostito appena. Sentirete un manicaretto
delicato, ma non confacente a tutti gli stomachi.
494.
ANGUILLA COL VINO
Prendete un'anguilla di circa mezzo
chilogrammo, o più d'una, dello stesso peso in complesso, non essendo necessario per
questo piatto che sieno grosse; strofinatele con la rena per nettarle dalla mucosità,
lavatele e tagliatele a rocchi. Ponete in un tegame uno spicchio d'aglio tagliato a
fettine, tre o quattro foglie di salvia tritata all'ingrosso, la corteccia di un quarto di
limone e non molto olio. Mettetelo al fuoco e, quando il soffritto avrà preso colore,
collocateci le anguille e conditele con sale e pepe. Allorché l'umido comincia a scemare
andate scalzandole con la punta di un coltello onde non si attacchino e rosolate che sieno
versateci sugo di pomodoro o conserva, e rivoltatele. Rosolate anche dall'altra parte,
versateci un buon dito di vino rosso o bianco asciutto mischiato a due dita d'acqua,
copritele e lasciatele finir di cuocere a fuoco lento. Mandatele in tavola con alquanto
del loro intinto e servitele a quattro persone, a cui potranno bastare.
495. ANGUILLA IN UMIDO ALL'USO DI COMACCHIO
I Comacchiesi non fanno mai uso d'olio
per condir l'anguilla in qualunque modo essa venga cucinata, il che si vede anche da
questo umido che potrebbe pur chiamarsi zuppa o cacciucco di anguille. Infatti codesto
pesce contiene tanto olio in sé stesso che l'aggiungerne guasta anziché giovare. La
prova fattane avendo corrisposto alla ricetta favoritami, ve la descrivo tal quale.
"Per un chilogrammo di anguille
prendete tre cipolle, un sedano, una bella carota, prezzemolo e la buccia di mezzo limone.
Tagliate tutto, meno il limone, a pezzi grossi e fate bollire con acqua, sale e pepe.
Tagliate le anguille a rocchi, lasciando però i rocchi uniti tra loro da un lembo di
carne. Prendete un pentolo adatto e fategli in fondo uno strato di anguilla cui
sopraporrete uno strato delle verdure dette di sopra e quasi cotte (gettando via il
limone), poi un altro strato d'anguilla, un altro di verdura, ecc., fin che ce ne cape.
Coprite tutto coll'acqua dove le verdure bollirono; mettete il pentolo ben turato a
bollire adagio, scuotendolo, girandolo, ma non frugando mai col mestolo perché
spappolereste ogni cosa. Noi usiamo circondare il pentolo di cenere e brace fin più che a
mezzo, davanti a un fuoco chiaro di legna, sempre scuotendo e girando. Quando i rocchi,
che erano uniti per un lembo, si staccano l'un dall'altro, son presso che cotti.
Aggiungete allora un buon cucchiaio di aceto forte, conserva di pomodoro e assaggiate il
brodo per correggerlo di sale e di pepe (siate generosi); fate dare altri pochi bollori e
mandate magari il pentolo in tavola, perché è vivanda di confidenza. Servite in piatti
caldi, su fette di pane". Avverto io che qui si tratta di anguille mezzane e non
ispellate, che le cipolle, se sono grosse, due bastano e che due bicchieri d'acqua saranno
sufficienti per cuocere le verdure. Le fette del pane sarà bene di asciugarle al fuoco
senza arrostirle.
496. ANGUILLA COI PISELLI
Mettetela in umido come quella del n. 493
e quando è cotta levatela asciutta per cuocere i piselli nel suo intinto. Rimettetela poi
fra i medesimi per riscaldarla e servitela. Qui non ha luogo sugo di pomodoro, ma acqua se
occorre.
497.
CEFALI IN GRATELLA
Le anguille di Comacchio richiamano alla
memoria i cefali abitatori delle stesse valli i quali, quando sono portati ai mercati
verso la fine di autunno, sono belli, grassi e di ottimo sapore. I Comacchiesi li trattano
nella seguente maniera che persuade. Levano a questo pesce le scaglie e le branchie ma non
li sbuzzano perché le interiora, come nella beccaccia, dicono che sono il meglio. Li
condiscono con sale e pepe soltanto, e li pongono sulla gratella a fuoco ardente. Cotti
che siano li mettono tra due piatti caldi non lontani dal fuoco per cinque minuti. Al
momento di servirli rivolgono i piatti, che quel di sopra vada sotto e il grasso colato
rimanga così sparso e steso sopra il pesce, mandandolo in tavola con limone da strizzare.
Al n. 688 è dato un cenno come li
servono in Romagna.
498. TELLINE O ARSELLE IN SALSA D'UOVO
Le arselle non racchiudono sabbia come le
telline e però a quelle basta una buona lavatura nell'acqua fresca.
Tanto le une che le altre mettetele al
fuoco con un soffritto di aglio, olio, prezzemolo e una presa di pepe, scuotetele e tenete
coperto il vaso onde non si prosciughino. Levatele quando saranno aperte ed aggraziatele
con la seguente salsa: uno o più rossi d'uovo, secondo la quantità, agro di limone, un
cucchiaino di farina, brodo e un po' di quel sugo uscito dalle telline. Cuocetela ad uso
crema e versatela sulle medesime quando le mandate in tavola.
Io le preferisco senza salsa e le fo
versare sopra fette di pane asciugate al fuoco. Così si sente più naturale il gusto del
frutto di mare. Per la stessa ragione non lo mettere il pomodoro nel risotto con le
telline.
499. ARSELLE O TELLINE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino di cipolla e mettetelo
al fuoco con olio e una presa di pepe. Quando la cipolla avrà preso colore unite un
pizzico di prezzemolo tritato non tanto fine e dopo poco gettateci le arselle o le telline
con sugo di pomodoro o conserva. Scuotetele spesso e quando saranno aperte, versatele
sopra a fette di pane arrostito, preparate avanti sopra un vassoio. Le arselle così
cucinate sono buone; ma, a gusto mio, sono inferiori a quelle del numero precedente.
500.
SEPPIE COI PISELLI
Fate un battuto piuttosto generoso con
cipolla, uno spicchio d'aglio e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe, e
quando avrà preso colore passatelo da un colino strizzando bene. In questo soffritto
gettate le seppie tagliate a filetti, ma prima nettatele com'è indicato al n. 74, bagnatele con acqua, se occorre, e quando saranno quasi cotte
versate i piselli grondanti dall'acqua fresca in cui li avrete tenuti in molle.
501.
TINCHE ALLA SAUTÉ
Questo pesce (Tinca vulgaris) della
famiglia dei ciprinoidi, ossia dei carpi, benché si trovi anche ne' laghi e ne' fiumi
profondi, abita di preferenza, come ognuno sa, le acque stagnanti dei paduli; ma ciò che
ignorasi forse da molti si è che esso, nonché il carpio, offrono un esempio della
ruminazione fra i pesci. Il cibo arrivato nel ventricolo è rimandato nella faringe coi
movimenti antiperistaltici e dai denti faringei, speciali a quest'uso, ulteriormente
sminuzzato e triturato.
Prendete tinche grosse (nel mercato di
Firenze vendonsi vive e sono, nella loro inferiorità fra i pesci, delle migliori),
tagliate loro le pinne, la testa e la coda; apritele per la schiena, levatene la spina e
le lische e dividetele in due parti per il lungo. Infarinatele, poi tuffatele nell'uovo
frullato, che avrete prima condito con sale e pepe; involgetele nel pangrattato, ripetendo
per due volte quest'ultima operazione. Cuocetele nella sauté col burro e servitele in
tavola con spicchi di limone e con un contorno di funghi fritti, alla loro stagione.
Qui viene opportuno indicare il modo di
togliere o attenuare il lezzo dei pesci di padule. Si gettano nell'acqua bollente,
tenendoveli alcuni minuti finché la pelle comincia a screpolare, e si rinfrescano poi
nell'acqua diaccia prima di cuocerli. Questa operazione è chiamata dai francesi limoner,
da limon, fango.
502.
PASTICCIO DI MAGRO
Mancherei a un dovere di riconoscenza se
non dichiarassi che parecchie ricette del presente volume le devo alla cortesia di alcune
signore che mi favorirono anche questa, la quale, benché in apparenza accenni ad un vero
e proprio pasticcio, alla prova è riuscita degna di figurare in qualunque pranzo, se
eseguita a dovere.
Un pesce del peso di grammi 300 a 350.
Riso, grammi 200.
Funghi freschi, grammi 150.
Piselli verdi, grammi 300.
Pinoli tostati, grammi 50.
Burro, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Carciofi, n. 6.
Uova, n. 2.
Cuocete il riso con grammi 40 di burro e
un quarto di cipolla tritata, salatelo, e quando è cotto con l'acqua occorrente legatelo
con le dette uova e grammi 30 di parmigiano.
Fate un soffritto con cipolla, burro,
sedano, carota e prezzemolo e in esso cuocete i funghi tagliati a fette, i piselli, e i
carciofi tagliati a spicchi e mezzo lessati. Tirate queste cose a cottura con qualche
cucchiaiata d'acqua calda e conditele con sale, pepe e gr, 50 di parmigiano grattato
quando le avrete ritirate dal fuoco.
Cuocete il pesce, che può essere un
muggine, un ragno o anche pesce a taglio, in un soffritto d'olio, aglio, prezzemolo, sugo
di pomodoro o conserva e conditelo con sale e pepe. Levate il pesce, passate il suo
intinto e in questo sciogliete i pinoli che prima avrete abbrustoliti e pestati. Togliete
al pesce la testa, la spina e le lische, tagliatelo a pezzetti, rimettetelo nel suo
intinto e uniteci ogni cosa meno che il riso.
Ora che gli elementi del pasticcio sono
tutti pronti, fate la pasta per rinchiudervelo, di cui eccovi le dosi:
Farina, grammi 400.
Burro, grammi 80
Uova, n. 2.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate
Sale, un pizzico.
Prendete uno stampo qualunque, ungetelo
col burro e foderatelo colla detta pasta tirata a sfoglia; poi riempitelo versandovi prima
la metà del riso, indi tutto il ripieno e sopra il ripieno il resto del riso,
ricoprendolo alla bocca colla stessa pasta. Cuocetelo al forno, sformatelo e servitelo
tiepido o freddo.
Eseguito nelle dosi indicate basterà per
dodici persone.
503.
RANOCCHI IN UMIDO
Il modo più semplice è di farli con un
soffritto di olio, aglio e prezzemolo, sale e pepe, e quando sono cotti, agro di limone.
Alcuni, invece del limone, usano il sugo di pomodoro, ma il primo è da preferirsi.
Non li spogliate mai delle uova che sono
il meglio.
504. RANOCCHI ALLA FIORENTINA
Togliete i ranocchi dall'acqua fresca
dove li avrete posti dopo averli tenuti per un momento appena nell'acqua calda se sono
stati uccisi d'allora. Asciugateli bene fra le pieghe d'un canovaccio e infarinateli.
Ponete una teglia al fuoco con olio buono e quando questo comincia a grillettare buttate
giù i ranocchi; conditeli con sale e pepe rimuovendoli spesso perché si attaccano
facilmente. Quando saranno rosolati da ambedue le parti, versate sui medesimi delle uova
frullate, condite anch'esse con sale e pepe e sugo di limone piacendovi; senza toccarle,
lasciatele assodare a guisa di frittata e mandate la teglia in tavola.
Ai ranocchi va sempre tolta la
vescichetta del fiele.
Volendoli fritti, infarinateli e, prima
di buttarli in padella, teneteli per qualche ora in infusione nell'uovo, condito con sale
e pepe; oppure, dopo infarinati, rosolateli appena da ambedue le parti e, presi uno alla
volta, immergeteli nell'uovo condito con pepe, sale e agro di limone, rimettendoli poscia
in padella per finire di cuocerli.
505.
ARINGA INGENTILITA
Signori bevitori, a questa aringa (Clupea
harengus) posate la forchetta; non è fatta per voi che avete il gusto grossolano.
Ordinariamente si ricerca l'aringa
femmina come più appariscente per la copiosa quantità delle uova; ma è da preferirsi il
maschio che, co' suoi spermatofori lattiginosi, ossia borsa spermatica, è più delicato.
Maschio o femmina che sia, aprite l'aringa dalla parte della schiena, gettatene via la
testa e spianatela; poi mettetela in infusione nel latte bollente e lasciatevela dalle
otto alle dieci ore. Sarebbe bene che in questo spazio di tempo si cambiasse il latte una
volta. Dopo averla asciugata con un canovaccio, cuocetela in gratella come l'aringa comune
e conditela con olio e pochissimo aceto o, se più vi piace, con olio e agro di limone.
C'è anche quest'altra maniera per
togliere all'aringa il sapore troppo salato. Mettetela al fuoco con acqua diaccia, fatela
bollire per tre minuti, poi tenetela per un momento nell'acqua fresca; asciugatela,
gettatene via la testa, apritela dalla parte della schiena e conditela come la precedente.
La Clupea harengus è il genere tipico
dell'importantissima famiglia dei Clupeini, la quale comprende, oltre alle aringhe, le
salacche, i salacchini, le acciughe, le sarde e l'Alosa vulgaris, o Clupea comune,
chiamata cheppia in Toscana. Questa, in primavera, rimontando i fiumi per deporre le uova,
viene pescata anche in Arno a Firenze.
Le aringhe vivono in numero sterminato
nelle profondità dei mari dell'estrema Europa e si fanno vedere alla superficie solo al
tempo della riproduzione, cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo deposte le
uova scompariscono nella profondità della loro abituale dimora. Si vede il mare talora
per diverse miglia di seguito luccicante e l'acqua divenir torbida per la fregola e per le
squame che si distaccano. In Inghilterra arrivano dal luglio al settembre e la pesca, che
si fa con reti circolari, n'è sì abbondante sulle spiagge di Yarmouth che talvolta se ne
sono preparate fino a 500 mila barili.
506. BACCALÀ ALLA FIORENTINA
Il baccalà appartiene alla famiglia
delle Gadidee il cui tipo è il merluzzo. Le specie più comuni de' nostri mari sono il
Gadus minutus e il Merlucius esculentus, o nasello, pesce alquanto insipido, ma di facile
digestione per la leggerezza delle sue carni, e indicato ai convalescenti, specialmente se
lesso e condito con olio e agro di limone.
Il genere Gadus morrhua è il merluzzo
delle regioni artiche ed antartiche il quale, dalla diversa maniera di acconciarlo, prende
il nome di baccalà o stoccafisso e, come ognun sa, è dal fegato di questo pesce che si
estrae l'olio usato in medicina. La pesca del medesimo si fa all'amo e un solo uomo ne
prende in un giorno fino a 500, ed è forse il più fecondo tra i pesci, essendosi in un
solo individuo contate nove milioni di uova.
In commercio si conoscono più
comunemente due qualità di baccalari, Gaspy e Labrador. La prima proveniente dalla
Gaspesia, ossia dai Banchi di Terra Nuova (ove sì pescano ogni anno più di 100 milioni
di chilogrammi di merluzzi), è secca, tigliosa e regge molto alla macerazione; la
seconda, che si pesca sulle coste del Labrador, forse a motivo di un pascolo più copioso,
essendo grassa e tenera, rammollisce con facilità ed è assai migliore al gusto.
Il baccalà di Firenze gode buona
reputazione e si può dir meritata perché si sa macerar bene, nettandolo spesso con un
granatino di scopa, e perché essendo Labrador di prima qualità, quello che
preferibilmente vi si consuma, grasso di sua natura, è anche tenero, tenuto conto della
fibra tigliosa di questo pesce non confacente agli stomachi deboli; per ciò io non l'ho
potuto mai digerire. Questo salume supplisce su quel mercato, nei giorni magri, con molto
vantaggio il pesce, che è insufficiente al consumo, caro di prezzo e spesso non fresco.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi
quanto la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al
fuoco con parecchio olio e due o tre spicchi d'aglio interi, ma un po' stiacciati. Quando
questi cominciano a prender colore buttate giù il baccalà e fatelo rosolare da ambedue
le parti, rimuovendolo spesso affinché non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben
poco previo l'assaggio, ma una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo versategli sopra
qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro n. 6, o conserva
diluita nell'acqua; fatelo bollire ancora un poco e servitelo.
507. BACCALÀ ALLA BOLOGNESE
Tagliatelo a pezzi grossi come il
precedente e così nudo e crudo mettetelo in un tegame o in una teglia unta coll'olio.
Fioritelo di sopra con un battutino di aglio e prezzemolo e conditelo con qualche presa di
pepe, olio e pezzetti di burro. Fatelo cuocere a fuoco ardente e voltatelo adagio perché,
non essendo stato infarinato, facilmente si rompe. Quando è cotto strizzategli sopra del
limone e mandatelo al suo destino.
508. BACCALÀ DOLCE-FORTE
Cuocetelo come il baccalà n. 506, meno l'aglio, e quando sarà rosolato da
ambe le parti, versateci su il dolce-forte, fatelo bollire ancora un poco e servitelo
caldo.
Il dolce-forte o l'agro-dolce, se così
vi piace chiamarlo, preparatelo avanti in un bicchiere, e se il baccalà fosse grammi 500
all'incirca, basteranno un dito di aceto forte, due dita di acqua, zucchero a sufficienza,
pinoli e uva passolina in proporzione. Prima di versarlo sul baccalà non è male il farlo
alquanto bollire a parte. Se vi vien bene sentirete che nel suo genere sarà gradito.
509. BACCALÀ IN GRATELLA
Onde riesca meno risecchito si può
cuocere a fuoco lento sopra un foglio di carta bianca, consistente, unta avanti. Conditelo
con olio, pepe e, se vi piace, qualche ciocchettina di ramerino.
510.
BACCALÀ FRITTO
La padella è l'arnese che in cucina si
presta a molte belle cose; ma il baccalà a me pare vi trovi la fine più deplorevole
perché, dovendo prima esser lessato e involtato in una pastella, non vi è condimento che
basti a dargli conveniente sapore, e però alcuni, non sapendo forse come meglio
trattarlo, lo intrugliano nella maniera che sto per dire. Per lessarlo mettetelo al fuoco
in acqua diaccia e appena abbia alzato il primo bollore levatelo che già è cotto.
Senz'altra manipolazione si può mangiar così condito con olio e aceto; ma veniamo ora
all'intruglio che vi ho menzionato, padronissimi poi di provarlo o di mandare al diavolo
la ricetta e chi l'ha scritta. Dopo lessato mettete in infusione il pezzo del baccalà
tutto intero nel vino rosso e tenetecelo per qualche ora; poi asciugatelo in un canovaccio
e tagliatelo a pezzetti nettandolo dalle spine e dalle lische. Infarinatelo leggermente e
gettatelo in una pastella semplice di acqua, farina e un gocciolo d'olio senza salarla.
Friggetelo nell'olio e spolverizzatelo di zucchero quando avrà perduto il primo bollore.
Mangiato caldo, l'odor del vino si avverte appena; non pertanto, se lo trovate un piatto
ordinario, la colpa sarà vostra che l'avete voluto provare.
511. COTOLETTE DI BACCALÀ
Si tratta sempre di baccalà, quindi non
vi aspettate gran belle cose; però, preparato in questa maniera sarà meno disprezzabile
del precedente; non foss'altro vi lusingherà la vista col suo aspetto giallo-dorato a
somiglianza delle cotolette di vitella di latte.
Cuocetelo lesso come l'antecedente e, se
la quantità fosse di grammi 500, dategli per compagnia due acciughe e un pizzico di
prezzemolo, tritando fine fine ogni cosa insieme colla lunetta. Poi aggiungerete qualche
presa di pepe, un pugno di parmigiano grattato, tre o quattro cucchiaiate di pappa,
composta di midolla di pane, acqua e burro, per renderlo più tenero, e due uova. Formato
così il composto, prendetelo su a cucchiaiate, buttatelo nel pangrattato, stiacciatelo
colle mani per dargli la forma di cotolette che intingerete nell'uovo sbattuto, e poi
un'altra volta avvolgerete nel pangrattato.
Friggetelo nell'olio e mandatelo in
tavola con spicchi di limone o salsa di pomodoro. Basterà la metà di questa dose per
nove o dieci cotolette.
512. BACCALÀ IN SALSA BIANCA
Baccalà ammollito, grammi 400.
Burro, grammi 70.
Farina, grammi 30.
Una patata del peso di circa grammi 150.
Latte, decilitri 3 1/2.
Lessate il baccalà e nettatelo dalla
pelle, dalle lische e dalla spina. Lessate anche la patata e tagliatela a tocchetti. Fate
una balsamella col latte e la farina e quando è cotta uniteci un poco di prezzemolo
tritato, datele l'odore della noce moscata, versateci dentro la patata e salatela. Poi
aggiungete il baccalà a pezzi, mescolate e dopo un poco di riposo servitelo che piacerà
e sarà lodato. Se non si tratta di forti mangiatori potrà bastare per quattro persone.
Per adornarlo un poco potreste contornarlo con degli spicchi di uova sode.
513. STOCCAFISSO IN UMIDO
Stoccafisso ammollito, grammi 500 così
diviso:
Schiena, grammi 300; pancette, grammi 200.
Levategli la pelle e tutte le lische, poi
tagliate la parte della schiena a fettine sottili e le pancette a quadretti larghi due
dita. Fate un soffritto con olio in abbondanza, un grosso spicchio d'aglio o due piccoli e
un buon pizzico di prezzemolo. Quando sarà colorito gettateci lo stoccafisso, conditelo
con sale e pepe, rimestate per fargli prendere sapore e dopo poco versateci sei o sette
cucchiaiate della salsa di pomodoro del n. 125, oppure pomodori a pezzi senza la buccia e
i semi, fate bollire adagio per tre ore almeno, bagnandolo con acqua calda versata poco
per volta ed unendovi dopo due ore di bollitura una patata tagliata a tocchetti. Questa
quantità è sufficiente per tre o quattro persone. È piatto appetitoso, ma non per gli
stomachi deboli. Un amico mio, certo di fare cosa gradita, non si perita d'invitare dei
gran signori a mangiare questo piatto da colazione.
514.
CIECHE ALLA PISANA
Vedi Anguilla n. 490.
Lavatele diverse volte e quando non
faranno più la schiuma, versatele sullo staccio per scolarle.
Ponete al fuoco, olio, uno spicchio o due
d'aglio interi, ma un po' stiacciati, e alcune foglie di salvia. Quando l'aglio sarà
colorito versate le cieche e, se sono ancor vive, copritele con un testo onde non saltino
via. Conditele con sale e pepe, rimuovetele spesso col mestolo e bagnatele con un poco
d'acqua, se prosciugassero troppo. Cotte che siano, legatele con uova frullate a parte,
mescolate con parmigiano, pangrattato e limone.
Se la quantità delle cieche fosse di
grammi 300 a 350, la quale basta per quattro persone, potrete legarle con:
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Pangrattato, una cucchiaiata.
Mezzo limone e un po' d'acqua.
Se le servite nel vaso ove sono state
cotte, ponetele per ultimo fra due fuochi onde facciano alla superficie la crosticina in
bianco.
Il chiarissimo prof. Renato Fucini
(l'ameno Neri Tanfucio) il quale, a quanto pare, è un grande amatore di cieche alla
salvia, si compiace farmi sapere che sarebbe una profanazione, un sacrilegio, se queste -
benché sembrino teneri pesciolini - si tenessero a cuocere per un tempo minore di una
ventina di minuti almeno.
515. CIECHE FRITTE I
Cuocetele in umido con olio, aglio intero
e salvia, come quelle descritte al numero precedente; poi, levato l'aglio, tritatele
minute. Frullate delle uova in proporzione, salatele, aggiungete parmigiano, un poco di
pangrattato e mescolateci dentro le cieche per friggerle a cucchiaiate e farne frittelle
che servirete con limone a spicchi, e pochi, mangiandole, si accorgeranno che sia un
piatto di pesce.
516.
CIECHE FRITTE II
Ho visto a Viareggio che le cieche si
possono friggere come l'altro pesce; infarinate soltanto con farina di grano o di
granturco e gettate in padella. In questa maniera le avrete più semplici, ma assai meno
buone di quelle descritte al numero antecedente.
517.
TINCHE IN ZIMINO
La tinca disse al luccio: - Vai più la
mia testa che il tuo buccio. - Buccio per busto, licenza poetica, per far la rima. Poi
c'è il proverbio: "Tinca di maggio e luccio di settembre".
Fate un battutino con tutti gli odori, e
cioè: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano e carota; mettetelo al fuoco con olio e quando
avrà preso colore, versate le teste delle tinche a pezzettini e conditele con sale e
pepe. Fatele cuocer bene, bagnandole con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua,
poi passate il sugo e mettetelo da parte. Nettate le tinche, tagliate loro le pinne e la
coda e così intere, ponetele al fuoco con olio quando comincia a soffriggere. Conditele
con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo versato a poco per volta. Potrete
mangiarle così che sono eccellenti; ma per dare al zimino il suo vero carattere ci vuole
un contorno d'erbaggi, bietola o spinaci a cui, dopo lessati, farete prender sapore
nell'intinto di questo umido. I piselli pure vi stanno bene. Anche il baccalà in zimino
va cucinato così.
518.
LUCCIO IN UMIDO
Il luccio è un pesce comune nelle nostre
acque dolci che si fa notare per certe sue particolarità. È molto vorace e siccome si
nutre esclusivamente di pesce, la sua carne riesce assai delicata al gusto; però, essendo
fornito di molte lische, bisogna scegliere sempre individui del peso di 600 a 700 grammi;
sono anche da preferirsi quelli che vivono in acque correnti, i quali si distinguono per
la schiena verdastra e il ventre bianco argentato; mentre quelli delle acque stagnanti si
conoscono dall'oscurità della pelle. Si trovano dei lucci del peso fino a 10, 15 e anche
30 chilogrammi e di un'età assai elevata; credesi perfino di oltre 200 anni. Le uova
della femmina e gli spermatofori lattiginosi del maschio non vanno mangiati perché hanno
un'azione molto purgativa.
Ammesso che abbiate da cucinare un luccio
dell'indicato peso all'incirca, raschiategli le scaglie, vuotatelo, tagliate via la testa
e la coda e dividetelo in quattro o cinque pezzi, che potranno bastare ad altrettante
persone. Ogni pezzo steccatelo per il lungo con due lardelli di lardone conditi con sale e
pepe, e poi fate un battuto proporzionato con cipolla quanto una grossa noce, un piccolo
spicchio d'aglio, una costola di sedano, un pezzetto di carota e un pizzico di prezzemolo,
il tutto tritato fine perché non occorre passarlo. Mettetelo al fuoco con olio e quando
avrà preso colore fermatelo con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, sale e
pepe per condimento. Poi condensate alquanto questo intinto con un pezzetto di burro
intriso nella farina, mescolate bene e collocateci il pesce facendolo bollire adagio e
rivoltandolo; per ultimo versateci una cucchiaiata di marsala o, mancando questa, un
gocciolo di vino, e lasciatelo bollire ancora un poco prima di mandarlo in tavola in mezzo
alla sua salsa.
519. PALOMBO FRITTO
Tagliate il palombo in rotelle non tanto
grosse e lasciatele in infusione nell'uovo alquanto salato per qualche ora. Mezz'ora
avanti di friggerle involtatele in un miscuglio formato di pangrattato, parmigiano, aglio
e prezzemolo tritati, sale e pepe. Un piccolo spicchio d'aglio basterà per grammi 500 di
pesce. Contornatelo con spicchi di limone.
520.
PALOMBO IN UMIDO
Tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e poi
fate un battuto con aglio, prezzemolo e pochissima cipolla. Mettetelo al fuoco con olio e,
quando avrà soffritto a sufficienza, collocateci il palombo e conditelo con sale e pepe.
Rosolato che sia versateci un po' di vino rosso, o bianco asciutto, e sugo di pomodoro o
conserva per tirarlo a cottura.