Sono gli entremets dei Francesi;
piatti di minor conto, che si servono tra una portata e l'altra.
227.
CRESCENTINE
Se l'aglio è un vermifugo, come si
reputa generalmente, questo è un cibo semplice e appetitoso pei bambini. Arrostite delle
fette di pane da ambedue le parti e così calde strofinatele con uno spicchio d'aglio. Poi
conditele con sale, olio, aceto e zucchero.
228. DONZELLINE RIPIENE DI ACCIUGHE SALATE
Farina, grammi 220.
Burro, grammi 30.
Latte, quanto basta.
Sale, un pizzico.
Acciughe salate, n. 4.
Intridete la farina col burro, il
latte e il sale formandone un pane di giusta consistenza, lavorandolo moltissimo se volete
che la pasta rigonfi in padella.
Lasciatelo un poco in riposo,
tagliatelo a metà ed allargate alquanto le due parti.
Nettate le acciughe, dividetele a
metà per il lungo, levate loro la spina e tagliatele a pezzetti quadri e questi
collocateli distesi sopra una delle dette porzioni di pasta, copritela con quell'altra per
appiccicarle insieme e così unite tiratele col matterello a sfoglia sottile che
taglierete a mandorle per friggerle nell'olio. Questa dose basterà per sei persone e
potrà servire per principio in una colazione o per contorno a un fritto di pesce.
229. DONZELLINE AROMATICHE
Farina, grammi 180 circa.
Olio, due cucchiaiate.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate.
Salvia, cinque o sei foglie.
Un uovo.
Sale, quanto basta.
La salvia tritatela con la lunetta e
poi intridete la farina con tutti gl'ingredienti lavorandola bene e procurando che la
pasta resti piuttosto morbida. Poi tiratela col matterello alla grossezza di uno scudo
spolverizzandola con farina, se occorre, e tagliata a mandorle friggetela nell'olio o nel
lardo. Sento dire che qualcuno le mangia insieme ai fichi e al prosciutto.
Ritengo questa quantità sufficiente
per quattro persone.
230. GNOCCHI DI SEMOLINO
Latte, decilitri 4.
Semolino, grammi 120.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Cuocete il semolino nel latte e
quando siete per ritirarlo dal fuoco salatelo e versatevi metà del burro e metà del
parmigiano. Poi, quando è ancora ben caldo, aggiungete le uova e mescolate, indi
versatelo sulla spianatoia, o sopra un vassoio, distendetelo alla grossezza di un dito e
mezzo e lasciate che diacci per tagliarlo a mandorle. Eccovi gli gnocchi che collocherete
uno sopra l'altro in bella mostra entro un vassoio proporzionato, intramezzandoli col
resto del burro a pezzetti e spolverizzandoli, suolo per suolo, ma non alla superficie,
col resto del parmigiano. Per ultimo, rosolateli al forno da campagna e serviteli caldi o
soli o per contorno ad un piatto di carne stracottata o fatta in altra maniera.
231. GNOCCHI ALLA ROMANA
Questi gnocchi, che io ho modificato
e dosati nella seguente maniera, spero vi piaceranno come sono piaciuti a quelli cui li ho
imbanditi. Se ciò avviene fate un brindisi alla mia salute se sarò vivo, o mandatemi un
requiescat se sarò andato a rincalzare i cavoli.
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Cacio gruiera, grammi 40.
Parmigiano, grammi 20.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 2.
Si dice che a tavola non si dovrebbe
essere in meno del numero delle Grazie, né in più del numero delle Muse. Se vi aggirate
intorno al numero delle Muse, raddoppiate la dose.
Intridete la farina colle uova e col
latte versato a poco per volta entro una cazzaruola, aggiungete il cacio gruiera a
pezzettini e mettete l'intriso al fuoco mescolando continuamente. Quando sarà assodato
per la cottura della farina, salatelo e aggiungete la metà del detto burro. Lasciate che
il composto diacci e poi, nella stessa guisa degli gnocchi di farina gialla, mettetelo a
tocchetti in un vassoio che regga al fuoco e conditeli via via col resto del burro a
pezzetti e col parmigiano suddetto grattato; ma non alla superficie, perché il parmigiano
col fuoco sopra prende l'amaro. Rosolateli sotto a un coperchio di ferro o nel forno da
campagna e serviteli caldi.
232. POLENTA DI FARINA GIALLA COLLE SALSICCE
Fate una polenta piuttosto tenera di
farina di granturco, distendetela sulla spianatoia alla grossezza di un dito e tagliatela
a mandorle.
Ponete in un tegamino diverse
salsicce intere con un gocciolo d'acqua e quando saranno cotte spellatele, sbriciolatele
ed aggiungete sugo o conserva di pomodoro. Collocate la polenta in una teglia o in un
vassoio che regga al fuoco, conditela a suoli col parmigiano, queste salsicce e qualche
pezzetto di burro sparso qua e là, poi mettetela fra due fuochi e quando sarà ben calda
servitela, specialmente per primo piatto di una colazione alla forchetta. La detta polenta
si può fare anche dura per tagliarla a fette.
233. POLENTA PASTICCIATA
Fate una polenta soda di farina di
granturco cotta nel latte. Salatela quando siete per ritirarla dal fuoco e versatela sopra
la spianatoia, alta due dita circa. Diaccia che sia, tagliatela a mandorle grosse mezzo
centimetro, che disporrete nella seguente maniera in un vassoio di metallo o di porcellana
che regga al fuoco. Fate un intingolo come quello per condire i maccheroni alla bolognese
n. 87 o consimile, e fate un poco di balsamella n. 137, spolverizzare il fondo del vassoio
con parmigiano grattato e distendete un suolo di polenta; conditela con parmigiano,
l'intingolo e la balsamella; poi sopra a questo ponete un altro suolo di polenta e
conditela egualmente; e così di seguito finché avrete roba. Anche qualche pezzettino di
burro qua e là non ci farà male: però mettetene poco se non volete che stucchi per
soverchio condimento.
Preparato così il vassoio colla sua
colma, ponetelo nel forno da campagna per rosolare la polenta e servitela calda per
tramesso in un pranzo durante l'autunno e l'inverno. Se viene bene sarà lodata per la sua
delicatezza. Nel tempo della cacciagione un abile cuoco può metterla in forma
riempiendola di uccelletti cotti in umido.
234. MACCHERONI COLLA BALSAMELLA
Prendete maccheroni lunghi alla
napoletana e cuoceteli per due terzi nell'acqua salata. Levateli asciutti e rimetteteli al
fuoco con un pezzetto di burro e quando l'avranno assorbito aggiungete tanto latte che
finisca di cuocerli a moderato calore. Preparate intanto una balsamella come al n. 137 e
quando non sarà più a bollore legatela con un rosso d'uovo e poi versatela sui
maccheroni insieme con parmigiano grattato in proporzione. Maccheroni così preparati sono
molto opportuni per contorno a un pezzo di stracotto o a un pezzo di vitella di latte in
fricandò. Potete in questo caso prendere un vassoio che regga al fuoco, collocarvi una
forma di latta in mezzo e i maccheroni all'ingiro.
Ponete il vassoio nel forno da
campagna o sotto a un coperchio di ferro col fuoco sopra, e quando i maccheroni saranno
leggermente rosolati, ritirateli dal fuoco e, levata la forma di latta, ponete nel suo
posto la carne e serviteli. Potete anche mandarli in tavola separati, ma sempre
leggermente rosolati al di sopra per più bellezza; badate che restino sugosi.
235. MACCHERONI COL PANGRATTATO
Se è vero, come dice Alessandro
Dumas padre, che gli Inglesi non vivono che di roast-beef e di budino; gli olandesi di
carne cotta in forno, di patate e di formaggio; i Tedeschi di sauer-kraut e di lardone
affumicato; gli Spagnuoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido; gl'ltaliani di
maccheroni, non ci sarà da fare le meraviglie se io ritorno spesso e volentieri sopra ai
medesimi, anche perché mi sono sempre piaciuti; anzi poco mancò che per essi non mi
acquistassi il bel titolo di Mangia maccheroni, e vi dirò in che modo.
Mi trovavo nella trattoria dei Tre
Re a Bologna, nel 1850 in compagnia di diversi studenti e di Felice Orsini amico d'uno di
loro. Erano tempi nei quali in Romagna si discorreva sempre di politica e di cospirazioni;
e l'Orsini, che pareva proprio nato per queste, ne parlava da entusiasta e con calore si
affannava a dimostrarci come fosse prossima una sommossa, alla testa della quale, egli e
qualche altro capo che nominava, avrebbero corsa Bologna armata mano. Io nel sentir
trattare con sì poca prudenza e in un luogo pubblico di un argomento tanto compromettente
e di un'impresa che mi pareva da pazzi, rimasi freddo a' suoi discorsi e tranquillamente
badavo a mangiare un piatto di maccheroni che avevo davanti. Questo contegno fu una
puntura all'amor proprio dell'Orsini, il quale, rimasto mortificato, ogni volta che poi si
ricordava di me, domandava agli amici: - Come sta Mangia maccheroni?
Mi par di vederlo ora quel giovane
simpatico, di statura mezzana, snello della persona, viso pallido rotondo, lineamenti
delicati, occhi nerissimi, capelli crespi, un po' bleso nella pronunzia. Un'altra volta,
molti anni dopo, lo combinai in un caffè a Meldola nel momento che fremente d'ira contro
un tale che, abusando della sua fiducia, l'aveva offeso nell'onore, invitava un giovane a
seguirlo a Firenze, per aiutarlo, diceva egli, a compiere una vendetta esemplare.
Una sequela di fatti e di vicende,
una più strana dell'altra, lo trassero dopo a quella tragica fine che tutti conoscono e
tutti deplorano, ma che fu forse una spinta a Napoleone III per calare in Italia.
Ritorniamo a bomba.
Maccheroni lunghi e che reggano bene
alla cottura, grammi 300.
Farina, grammi 15.
Burro, grammi 60.
Formaggio gruiera, grammi 60.
Parmigiano, grammi 40.
Latte, decilitri 6.
Pangrattato, quanto basta.
Se vi piacessero più saporiti aumentate la dose del condimento.
Ai maccheroni date mezza cottura,
salateli e versateli sullo staccio a scolare. Mettete al fuoco in una cazzaruola metà del
burro e la farina, mescolando continuamente; quando questa comincia a prender colore
versate il latte a poco per volta e fatelo bollire per una diecina di minuti; indi gettate
in questa balsamella i maccheroni e il gruiera grattato o a pezzettini e ritirate la
cazzaruola sull'orlo del fornello onde, bollendo adagino, ritirino il latte. Allora
aggiungete il resto del burro e il parmigiano grattato; versateli poi in un vassoio che
regga al fuoco e su cui faccian la colma e copriteli tutti di pangrattato.
Preparati in questa maniera
metteteli nel forno da campagna o sotto un coperchio di ferro col fuoco sopra e quando
saranno rosolati serviteli caldi per tramesso o, meglio, accompagnati da un piatto di
carne.
236. COSTOLETTE D'AGNELLO VESTITE
Prendete costolette d'agnello di
carne fina, denudate l'osso della costola, stiacciatele, pareggiatele, cuocetele, così
naturali, alla sauté col burro, conditele calde con sale e pepe e mettetele da parte.
Fate una balsamella sodettina e
nella medesima gettate prosciutto e lingua salata a piccolissimi dadi, un pizzico di
parmigiano, una presa di noce moscata e un tartufo a fettine oppure funghi secchi
rammolliti e tritati, e mettete anche questo composto da parte perché diacci bene.
Fate una pasta sfoglia, n. 154,
proporzionata alla quantità delle costolette e colla medesima avvolgetele una per una,
lasciando fuori l'osso della costola, ma prima spalmatele da una parte e dall'altra
abbondantemente col detto composto. Quando le avrete chiuse doratele col rosso d'uovo,
collocatele ritte intorno all'orlo di una teglia, cuocetele nel forno da campagna e
servitele calde. Saranno generalmente aggradite e tenute in conto di piatto fine.
La pasta sfoglia potrete tagliarla
con un modellino di carta, che così l'involucro vi verrà più preciso; per più pulizia
ed eleganza, prima di mandarle in tavola, fasciate l'estremità di ogni costola con carta
bianca smerlata.
237. COSTOLETTE NELLA CARTA
Queste costolette, che i Francesi
chiamano côtelettes en papillote, si possono condizionare nella seguente maniera che è
la più semplice e da non disprezzarsi. Prendete costolette di vitella di latte, denudate
l'osso della costola, levandone la carne, cuocetele nel burro alla sauté e conditele con
sale e pepe. Fate un composto proporzionato di prosciutto grasso e magro e prezzemolo,
tritatelo fine, aggiungete burro e midolla di pangrattato per tenerlo unito e con questo
spalmate da ambedue le parti le costolette, poi rifioritele con fettine di tartufi crudi.
Tagliate a modello della carta bianca grossettina per quante sono le costolette, ungetela
col burro o coll'olio da ambedue le parti e con essa involtatele strette con l'osso della
costola fuori. Ora ponetele in gratella a fuoco leggero avvertendo che la carta non bruci
e mandatele in tavola, per più pulizia, con l'estremità della costola fasciata di carta
bianca smerlata. Possono servire a quest'uso anche le costolette d'agnello se sono grandi.
238. SALAMI DAL SUGO DI FERRARA
I salami dal sugo di Ferrara sono
una specialità di quel paese. Hanno la forma di bondiole del peso di grammi 500 circa e
sono di sapore piccante e appetitoso. A differenza degli altri salumi della loro specie
migliorano invecchiando ed ordinariamente questi si mangiano quando quelli hanno fatto la
loro stagione. Allorché vorrete servirvene lavateli diverse volte con acqua tiepida per
nettarli da quella patina untuosa che li ricopre e metteteli al fuoco in acqua diaccia
abbondante per farli bollire lentamente un'ora e mezzo soltanto, chiusi stretti in un
pannolino onde evitare che la pelle schianti. Serviteli caldi con contorno come i
coteghini; ma il sugo di cui si vantano talvolta non apparisce, o se pure, non è molto
copioso.
239. PAGNOTTELLE RIPIENE
Nelle grandi città un bravo cuoco
è, a male agguagliare, come un generale d'armata in un vasto campo ben trincerato con
numerose ed agguerrite legioni ove può far valere tutte le sue prodezze. Le grandi città
oltre all'esser sempre ben provvedute d'ogni grazia di Dio, hanno chi pensa a fornirvi
anche le più piccole cose, le quali, benché di poca importanza, contribuiscono alla
varietà, all'eleganza e alla precisione de' vostri lavori. Così, come vi si trovano
bastoncini di pane che, tagliati a fette, s'infilano nello spiedo cogli uccelli, vi si
fabbricano pagnottelle della grandezza di una mela comune per farle ripiene.
Raspatene leggermente la corteccia
colla grattugia e fate in mezzo ad ognuna un tassello rotondo della dimensione di una
moneta da 10 centesimi. Vuotatele del midollo lasciando le pareti all'intorno alquanto
grossette. Bagnatele dentro e fuori con latte bollente e quando saranno discretamente
inzuppate chiudetele col loro tassello, inzuppato anch'esso, immergetele nell'uovo per
dorarle e friggetele nel lardo o nell'olio, ma buttatele in padella dalla parte del
coperchio perché vi resti aderente. Distaccate dopo, colla punta di un temperino, il
tassello, riempitele di un battuto di carne delicato e ben caldo, richiudetele e mandatele
in tavola. Se le fate accuratamente possono benissimo figurare in qualunque pranzo.
Il battuto di carne, a pezzetti
grossi quanto i ceci, sarà bene farlo con fegatini, petti di pollo, animelle e cose
simili tirate col sugo di carne e legate con una presa di farina; ma ciò che sarebbe
indispensabile, per rendere il composto più grato, sono i tartufi.
240. MIGLIACCIO DI FARINA DOLCE VOLGARMENTE DETTO
CASTAGNACCIO
Anche qui non posso frenarmi dal
declamare contro la poca inclinazione che abbiamo noi Italiani all'industria. In alcune
province d'Italia non si conosce per nulla la farina di castagne e credo che nessuno abbia
mai tentato d'introdurne l'uso; eppure pel popolo, e per chi non ha paura della
ventosità, è un alimento poco costoso, sano e nutriente. Interrogai in proposito una
rivendugliola in Romagna descrivendole questo migliaccio e le dimandai perché non tentava
di guadagnare qualche soldo con questo commercio. - Che vuole, mi rispose, è roba troppo
dolce, non la mangerebbe nessuno. - o le cottarone che voi vendete non sono dolci? eppure
hanno dello smercio, diss' io. Provatevi, almeno, soggiunsi; da principio volgetevi ai
ragazzi, datene loro qualche pezzo in regalo per vedere se cominciassero a gustarlo, e poi
dietro ad essi è probabile che a poco a poco si accostino i grandi. Ebbi un bel dire; fu
lo stesso che parlare al muro.
Le cottarone, per chi non lo sa,
sono mele o pere, per lo più cascaticce, cotte in forno entro una pentola nella quale si
versa un gocciolo d'acqua, coprendone la bocca con un cencio bagnato. Veniamo ora alla
semplicissima fattura di questo migliaccio.
Prendete grammi 500 di farina di
castagne e siccome questa farina si appasta facilmente passatela dal setaccio prima di
adoperarla per renderla soffice; poi mettetela in un recipiente e conditela con uno scarso
pizzico di sale. Fatto questo, intridetela con 8 decilitri di acqua diaccia versata a poco
per volta onde ridurla una liquida farinata, in cui getterete un pugno di pinoli interi.
Alcuni aggiungono ai pinoli delle noci a pezzetti, altri anche dell'uva secca e, sopra,
qualche fogliolina di ramerino.
Ora prendete una teglia ove il
migliaccio venga grosso un dito e mezzo all'incirca, copritene il fondo con un leggiero
strato d'olio, ed altr' olio, due cucchiaiate, spargetelo sulla farinata quando è nella
teglia. Cuocetelo in forno o anche in casa fra due fuochi e sformatelo caldo.
Con questa farinata si possono fare
anche delle frittelle.
241. MIGLIACCIO DI FARINA GIALLA I
Questo è un piatto de' più
ordinari, ma non è disgradevole a quelli cui la farina di granturco piace, e non produce
acidi allo stomaco. I bambini poi salteranno dall'allegrezza se qualche volta la mamma lo
darà loro caldo caldo per colazione nell'inverno.
La farina gialla è sempre bene che
sia macinata piuttosto grossa.
Ponete in un recipiente qualunque
quella quantità di farina di cui volete servirvi, salatela bene ed intridetela soda con
acqua bollente; quando sarà mescolata in modo che in fondo al vaso non resti farina
asciutta, unitevi uva secca o zibibbo in giusta dose; l'uva secca nostrale è preferibile,
in certi casi, allo zibibbo perché conserva un acidetto che le dà grazia. Prendete una
teglia di rame e mettetela al fuoco con lardo vergine in abbondanza e, quando questo
comincia a grillettare, versate l'impasto, il quale, per averlo intriso consistente, fa
d'uopo distendere e pareggiare col mestolo. Poi spalmatene la superficie con un altro poco
di lardo e rifioritelo con ciocchettine di ramerino fresco. Cuocetelo al forno o tra due
fuochi, fate che rosoli alquanto e sformatelo. Col detto impasto potete anche far
frittelle, ma senza ramerino. La miglior farina gialla che io abbia sentito è quella
d'Arezzo, ove il granturco viene curato molto e seccato in forno.
242. MIGLIACCIO DI FARINA GIALLA II
Questo piatto è più signorile del
precedente.
Farina di granturco, grammi 300.
Zibibbo o uva secca, grammi 100.
Strutto, grammi 40.
Pinoli, grammi 30.
Zucchero, tre cucchiaini.
All'uva levate i semi, i pinoli
tagliateli in due parti per traverso. La teglia ungetela collo strutto e infarinatela. Pel
resto regolatevi come per l'antecedente.
243. SALSICCIA COLLE UOVA
Le uova e la salsiccia messe insieme
pare non si trovino in cattiva compagnia, come non vi si trova la carnesecca tagliata a
dadi; se le prime sono sciocche, le seconde sono saporite e si forma una lega che piace a
molti, benché si tratti di piatti ordinari.
Se la salsiccia è fresca spaccatela
in due parti per il lungo e mettetela a cuocere in un tegame senz'unto né condimento,
perché ne contiene di per sé stessa; se è stagionata tagliatela a fette e levatene la
pelle. Appena la salsiccia sarà cotta, scocciate le uova e servitela quando queste
saranno rapprese. Per ogni rocchio comune di salsiccia, basta un solo uovo o al più due.
Se le salsicce fossero troppo magre
sarà bene cuocerle con un po' di burro o di lardo. Se invece di salsiccia si tratta di
carnesecca, aggiungete un pezzettino di burro e le uova versatele dopo averle frullate a
parte.
244. SALSICCIA COLL'UVA
È un piatto triviale e comune, ma
lo noto perché la salsiccia, con quel dolce acidetto dell'uva, potrebbe dar nel gusto a
qualcuno.
Bucate le salsicce colla punta di
una forchetta e mettetele in tegame così intere con un poco di lardo o burro. Quando
saranno cotte unite l'uva, non in quantità, a chicchi interi e fatela bollire finché si
strugga a metà. La salsiccia sola poi, oltreché in gratella, può cuocersi intera in un
tegame, con un gocciolo d'acqua.
245. RISO PER CONTORNO
Quando avrete per lesso una
pollastra o un cappone mandateli in tavola con un contorno di riso che vi sta bene. Per
non consumar tanto brodo imbiancate il riso nell'acqua e terminate di cuocerlo col brodo
dei detti polli. Tiratelo sodo e, quando è quasi cotto, dategli sapore con burro e
parmigiano in poca quantità; posto che il riso sia grammi 200, quando lo ritirate dal
fuoco legatelo con un uovo o, meglio, con due rossi.
Se il riso, invece che al lesso di
pollo dovesse servire di contorno a uno stracotto di vitella di latte o a bracioline,
aggiungete agl'ingredienti sopra indicati due o tre cucchiaiate di spinaci lessati e
passati per istaccio. Avrete allora un riso verde e più delicato.
Si può dare migliore aspetto a
questi contorni restringendo il riso a bagno-maria entro a uno stampo; ma badate non
indurisca troppo, che sarebbe un grave difetto.
246. CARCIOFI IN TEGLIA
Anche questo è un piatto di uso
famigliare in Toscana, di poca spesa e relativamente buono. Potendo servire da colazione,
per principio o per tramesso in un desinare di famiglia, non so comprendere come non sia
conosciuto in altri luoghi d'Italia.
Preparate i carciofi nel modo
descritto al n. 186, e dopo averli scossi dalla farina superflua, distendeteli in una
teglia ove abbia cominciato a grillettare olio buono e in quantità sufficiente. Quando le
fette dei carciofi saranno rosolate da ambe le parti, versate sulle medesime delle uova
sbattute, ma avvertite di non cuocerle troppo. Il condimento di sale e pepe spargetelo
parte sui carciofi e parte nelle uova prima di versarle.
Invece della teglia potete servirvi
della padella; ma allora otterrete una frittata il cui gusto riuscirà alquanto diverso e
inferiore.
247.
CACIMPERIO
Chi frequenta le trattorie può
formarsi un'idea della grande varietà dei gusti nelle persone. Astrazion fatta da quei
divoratori, come lupi, che non sanno distinguere, sto per dire, una torta di marzapane da
un piatto di scardiccioni, sentirete talvolta portare al cielo una vivanda da alcuni
giudicata mediocre e da altri perfino, come pessima, rigettata. Allora vi tornerà in
mente la gran verità di quella sentenza che dice: De gustibus non est dísputandum.
A questo proposito Giuseppe Averani,
trattando Del vitto e delle cene degli antichi, scrive: "Vario ed incostante sopra
tutti gli altri sentimenti si è il gusto. Imperocché gli organi della lingua, per cui
gustiamo i sapori, non sono d'una maniera in tutti gli uomini e in tutti i climi, e
s'alterano sovente o per mutazione d'età o per infermità o per altra più possente
cagione. Per la qual cosa molti di quei cibi che di soverchio appetiscono i fanciulli, non
allettano gli uomini; e quelle vivande e quelle bevande che gustevoli e delicate
solleticano con diletto e soavità il palato de' sani, non rade volte, come spiacevoli e
sazievoli, sono abbominate dagli infermi. Accade ancora bene spesso, che una certa
fantastica apprensione ci rende più o meno aggradevoli e piacenti le vivande, secondoché
la stravolta immaginazione ce le rappresenta. I cibi e le vivande rare e strane sono più
piacevoli al gusto che le comunali e nostrali non sono. La carestia e l'abbondanza, il
caro e la viltà dà e toglie il sapore alle vivande: e la comune approvazione de' ghiotti
le fa saporite e dilettevoli. Quindi è avvenuto che tutti i tempi e tutte le nazioni gli
stessi cibi non pregiarono, né buoni e delicati medesimamente gli reputarono".
Io, per esempio, non sono del parere
di Brillat Savarin, che nella sua Physiologie du goût fa gran caso della fondue
(cacimperio) e ne dà la seguente ricetta:
"Pesate, egli dice, le uova e
prendete un terzo del loro peso di formaggio gruiera e un sesto del loro peso di burro,
sale ben poco e pepe a buona misura".
Io, in opposizione a Savarin, di
questo piatto ho poco conto, sembrandomi non possa servire che come principio in una
colazione o per ripiego quando manca di meglio.
In Italia essendo questo un piatto
speciale ai Torinesi, ritenuto perciò che essi lo facciano alla perfezione, mi sono
procurato da Torino la seguente ricetta la quale, avendo corrisposto alla prova, ve la
descrivo. Basta per sei persone.
Fontina, netta dalla corteccia,
grammi 400.
Burro, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 4.
Latte, quanto basta.
La fontina è un formaggio poco dissimile dal gruiera, ma alquanto più grasso.
Tagliatelo a piccoli dadi e tenetelo
per due ore in infusione nel latte. Mettete il burro al fuoco e quando avrà preso colore
versateci la fontina, ma del latte, ove è stata in molle, lasciatecene due sole
cucchiaiate. Lavoratela molto col mestolo senza farla bollire e quando il formaggio sarà
tutto sciolto ritiratela dal fuoco per aggiungervi i rossi. Rimettetela per un poco sul
fuoco rimestandola ancora e, d'inverno, versatela in un vassoio caldo.
Se è venuta bene non dev'essere né
granulosa, né far le fila; ma aver l'apparenza di una densa crema. A Torino ho visto
servirla con uno strato superficiale di tartufi bianchi crudi tagliati a fettine sottili
come un velo.
248. TORTINO DI POMODORI
Fate bollire dei pomodori tagliati a
pezzi in un soffritto di aglio, prezzemolo e olio; sale e pepe per condimento.
Quando saranno cotti in maniera che
il loro sugo si sia condensato, passatelo e rimettetelo al fuoco con uova in proporzione,
frullate avanti. Aggiungete un pizzico di parmigiano, mescolate e quando le uova saranno
assodate, versatele in un vassoio e contornatele di crostini tagliati a mandorle e fritti
nel burro o nel lardo.
Qualche foglia di nepitella, o un
pizzico di regamo, dopo passato il sugo, dà al tortino un odore gradevole.
249. TORTINI DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Farina, grammi 30.
Uova, n. 2.
Prezzemolo tritato, un pizzico.
Odore di spezie.
Sale, quanto occorre.
Formate un impasto coi suddetti
ingredienti, versatelo sulla spianatoia sopra a un leggiero strato di farina e fategliene
prender tanta, con le mani infarinate, da poter formare dodici crocchette morbide che
schiaccerete alquanto. Mettete una sauté o una teglia al fuoco con un pezzo di burro per
rosolarle, e quando avranno preso colore da ambedue le parti bagnatele con sugo di
pomodoro o conserva sciolta nell'acqua.
Possono servir da tramesso e possono
esser portate in tavola accompagnate da una bistecca o da un pezzo di rosbiffe caldo.
250. CROSTINI DI TRE COLORI
Prendete due chifels e tagliateli a
rotelline grosse un centimetro che friggerete nel burro o nell'olio. Prendete degli
spinaci tirati col sugo o col burro e parmigiano, tritati fini, e coprite le fette del
chifel con uno strato dei medesimi. Prendete due uova sode, sgusciatele, tagliatele a
metà per traverso e mettete da parte i torli. Del bianco tagliate tanti cerchietti
concentrici e poneteli sopra lo strato degli spinaci. Del torlo fatene tanti pezzetti o
dadi grossetti e poneteli in mezzo ai cerchietti del bianco. Così formerete dei crostini
che potranno contornare un piatto d'arrosto i quali avendo per base il pane fritto coperto
dal verde degli spinaci, col bianco e il giallo-rosso delle uova figureranno di tre
colori; ma sono più belli che buoni.
251. INSALATA MAIONESE
Certi cuochi di cattivo gusto vi
presentano questa insalata composta di tanti intrugli da dovervi raccomandare il giorno
appresso all'olio di ricino o all'acqua ungherese. Alcuni la fanno col pollo lesso, altri
perfino con avanzi di carne qualunque arrostita; ma è da preferirsi sempre il pesce,
specialmente se di qualità fine come sarebbe il dentice, l'ombrina, il ragno, lo
storione, oppure i gamberi sbucciati, l'arigusta, e, per ultimo, il palombo. Io vi
indicherò la seguente che, a mio parere, per essere la più semplice è la più buona.
Prendete insalata romana o lattuga,
tagliatela a strisce larghe un dito, mescolateci barbabietole e patate lesse tagliate a
fette sottili, alcune acciughe lavate, nettate dalla spina e tagliate in quattro o cinque
parti, ed infine pesce lesso a pezzetti. Potete aggiungere al più alcuni capperi e la
polpa di due o tre olive indolcite. Condite ogni cosa insieme con sale, olio e non molto
aceto, rivoltatela onde prenda bene il condimento ed ammucchiatela tutta insieme che
faccia la colma.
Fate una salsa maionese come quella
del n. 126 che, nella dose ivi indicata, potrà bastare per sette od otto persone; ma
invece del pepe datele il piccante con un cucchiaino di senapa ed al limone aggiungete un
gocciolo di aceto, in cui potete stemperare la senapa. Con questa salsa spalmate tutta
l'insalata alla superficie e poi fioritela con altre fette di barbabietole e patate
intercalate in modo che facciano bella mostra; se avete uno stampino adatto collocate in
cima all'insalata, per bellezza, non per mangiarlo, un fiore fatto col burro.
A proposito d'insalata, a me sembra
che il radicchio cotto, col suo sapore amarognolo, stia molto bene insieme colla
barbabietola, la quale è dolce.
252. PIZZA A LIBRETTI
Una signora mi scrive: "Voglio
insegnarle, come mi ero proposta, una buona ed elegante pizza fritta; ma guai a lei se la
chiamerà stiacciata, perché deve riuscire tutt'altro. La chiami pizza a libretti e sarà
nel vero".
In obbedienza all'ordine della
signora, avendo fatto due prove di questa pizza a libretti, che sono riescite bene, ve la
descrivo.
Tirate una sfoglia non troppo soda e
quanto più potrete sottile intridendo la farina con due uova, un pizzico di sale e tre
cucchiaiate di cognac o di spirito, e forse meglio di fumetto. Fatta la sfoglia ungetela
con grammi 20 di burro sciolto e arrotolatela, ossia piegatela sopra sé stessa alla
larghezza di 10 a 11 centimetri, ma che la parte unta resti all'interno; indi tagliate il
rotolo a metà per la sua lunghezza e poi per traverso a proporzionate distanze onde
ottenere tanti rettangoli e a questi pigiate con le dita l'orlo esterno, ossia la costola
che non è stata tagliata. Friggeteli in padella con molto unto e prima di servirli
spolverizzateli di zucchero a velo. Se vengono bene vedrete che questi libretti si aprono
e restano sfogliati.
Questa dose potrà bastare per
quattro persone.